Celebriamo la Santuzza tra sfarzo e solennità

Ogni anno il 3, il 4 ed il 5 di febbraio, Catania offre alla sua patrona Agata una festa così straordinaria e densa di partecipazione che è stata annoverata fra le quattro festività religiose più importanti del mondo. Non stiamo esagerando, “la Santuzza” accoglie di anno in anno un numero sempre maggiore di persone, fra i molti fedeli e i tanti curiosi, che affollano le strade della città per seguire il fercolo che, trasportato dai devoti, incede senza fretta per le strade catanesi. Già, sembra anche che più passino gli anni e più il suo passo sia sempre più allentato. Tutto ciò è spesso dovuto alle varie fermate del fercolo, programmate dagli organizzatori della festa, che ora accolgono l’offerta delle candele e quindi prospettano la spettacolare esplosione di fuochi d’artificio.

Percorriamo brevemente le tappe della festa, per chi non la conoscesse, o per chi abbia dimenticato questa importante tradizione.

Si parte dal 3 febbraio. Questa prima giornata è dedicata, appunto, all’offerta delle candele. Una suggestiva usanza vuole che i ceri donati siano alti e pesanti quanto la persona che chiede la grazia. Tuttavia si tratta soltanto di un’antica tradizione, seguita da alcuni devoti. Molti altri donano ceri di qualunque dimensione, con la speranza che questi possano essere accessi accanto al feretro della Santuzza.

A questa processione segue un breve giro, dalla fornace alla cattedrale, a cui partecipano le maggiori autorità religiose, civili e militari. Due carrozze settecentesche, che un tempo appartenevano al senato che governava la città, per l’appunto “carrozze del senato”, assieme alle famose “candelore”, alte strutture decorate con bandierine ed ornamenti, portate dai rappresentanti delle antiche corporazioni e mestieri della città, vengono condotte in corteo. Questo primo giorno di festa si conclude in serata con un grandioso spettacolo di giochi pirotecnici in Piazza Duomo.

Il 4 di febbraio rappresenta la giornata più emozionante, poiché segna il primo incontro di tutti i cittadini con la Santa Patrona. Sin dalle prime luci dell’alba le strade della città si affollano di cittadini curiosi e di fedeli. Fra loro si distinguono i devoti, i quali indissano il tradizionale “sacco”, un camice di tela bianca lungo fino alla caviglia e stretto in vita da un cordoncino, un berretto di velluto nero, guanti bianchi e candidi fazzoletti da sventolare in onore della Santuzza. Tale abbigliamento rappresenta la veste notturna che i catanesi indossavano quando, nel lontano 1126, corsero incontro alle reliquie di Sant’Agata che Gisliberto e Goselmo riportarono da Costantinopoli. Il camice con gli anni si è arricchito anche del significato di veste penitenziale. Infatti, secondo alcuni religiosi, l’abito di tela bianca rappresenta la rivisitazione di una veste liturgica, mentre il berretto nero ricorderebbe la cenere di cui si cospargevano il capo i penitenti. Il condorcino invece simboleggia il cilicio, strumento di penitenza.

Dopo arriva il grande momento: la rivelazione del busto di Agata a tutti i fedeli. Esso è custodito all’interno della Cattedrale della città, alla destra dell’altare e rinchiuso da un cancello di ferro. Tre differenti chiavi, ognuna delle quali custodita da una persona diversa, sono necessarie per aprire la cancellata che protegge le reliquie. Una è custodita dal tesoriere, un’altra dal cerimoniere e l’ultima dal priore del capitolo della cattedrale.

Quando la terza chiave toglie l’ultima mandata al cancello della cameretta in cui è custodito il busto ed il sacello viene aperto, il viso sorridente e sereno di Agata si affaccia, nel crescente tripudio dei fedeli, impazienti di rivederla. Luccicante di oro e di gemme preziose, il busto viene issato su un fercolo d’argento rinascimentale, foderato di velluto rosso, lo stesso colore del sangue del martirio, ma anche quello dei re.

Prima di lasciare la cattedrale per la tradizionale processione lungo le vie della città, Catania dà il benvenuto alla sua patrona con una messa solenne celebrata dall’arcivescovo. Subito dopo il fercolo viene caricato del prezioso scrigno contenente le reliquie e portato in processione per la città. Tutto è pronto per la processione, che dura per l’intera giornata. Il fercolo attraversa i luoghi del martirio e ripercorre le vicende della storia della “Santuzza”, che si intrecciano con quelle della città. Un’altra doverosa fermata davanti il Duomo ed una seguente nei pressi della “marina”, da cui i catanesi, addolorati ed inermi, videro partire le reliquie della santa verso Costantinopoli. Dopo una sosta alla colonna della peste, per ricordare il miracolo compiuto da Sant’Agata nel 1743, quando la città fu risparmiata dall’epidemia.

Molti devoti guidano il ponderoso fercolo, che pesa circa trenta quintali, in mezzo alla folla, che nel frattempo si accalca per le strade e le piazze della città. A ritmo cadenzato tutti i fedeli gridano: “cittadini viva Sant’Agata”, un osanna che vuol dire anche: “Sant’Agata è viva”.

Il giro si conclude a notte fonda quando la Santuzza ritorna in cattedrale.

Sul fercolo del 5 di febbraio i garofani rossi del giorno precedente, simboleggianti il martirio, vengono sostituiti da quelli bianchi, che rappresentano la purezza. Nella mattinata in cattedrale viene celebrato il pontificale, mentre per attendere il feretro della santa bisogna aspettare fino al tramonto, momento in cui ha inizio la seconda parte della processione che si snoda per le strade e le piazze della città.

Due le circostanze più attese di questa giornata: i fuochi del “Borgo”, il quartiere che accolse i profughi provenienti da Misterbianco, paese non lontano da Catania, dopo l’eruzione del 1669. Verso le 3 del mattino il feretro si ferma nella piazza per accogliere lo spettacolare gioco di fuochi d’artificio che durano per quasi dieci minuti. Essi, oltre ad esprimere la grande gioia dei fedeli, assumono un significato particolare, poiché ricordano che la patrona, martirizzata sulla brace, vigila sempre sul fuoco dell’Etna e di tutti gli incendi.

L’altro momento atteso è quallo della “salita di Sangiuliano”, che per pendenza rappresenta il punto più pericoloso di tutta la processione. Anche se rischiosa e difficile, la salita rappresenta una prova di coraggio per i devoti, un ostacolo da superare affinchè le grazie possano essere concesse.

La mattina del 6 di febbraio gli ultimi fuochi artificiali segnano la chiusura dei festeggiamenti e quando Catania riconsegna alla cameretta della cattedrale il reliquario e lo scrigno i volti sono ormai segnati dalla stanchezza, i muscoli fanno male e la voce è ridotta ad un fievole stridio.

Tuttavia la soddisfazione di aver portato in trionfo il corpo della santa per le vie della sua città riempie tutti i devoti di gioia e ripaga le fatiche.                                                       

Gianluca Nicotra

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