Cave abusive, voragine grande quanto 62 campi da calcio Scempio tra Etna e Ragusa, mercato del cemento drogato

«Si sono portati via intere montagne». Tutte insieme, idealmente messe una dietro l’altro, fanno una voragine enorme (437mila metri quadrati) grande 62 volte lo stadio Olimpico di Roma. Per un’altezza che può arrivare anche a 20 metri, più di un palazzo di sei piani. Da queste enormi buche sono stati estratti materiali per costruire strade, case e ponti di mezza Sicilia. Da settembre 2017 a oggi sono oltre quindici le cave abusive sequestrate tra il Catanese e il Ragusano dai carabinieri del nucleo operativo ecologico (Noe) di Catania, guidato dal comandante Michele Cannizzaro. Un’operazione mai vista prima in Italia che ha fatto emergere un quadro grave e inquietante che da decenni era già sotto gli occhi di tutti. A farne le spese sono l’ambiente, violentato senza alcun controllo, il mercato del ciclo del cemento, drogato nei prezzi a causa dell’illegalità diffusa, e le casse di tutti i siciliani, visti i mancati pagamenti per gli oneri di concessione alla Regione. Un giro d’affari di diverse decine di milioni di euro, fiutato anche dalla criminalità organizzata

Pale meccaniche, camion ed escavatori a lavoro per anni e migliaia di metri cubi di basalto lavico estratto fino a creare voragini nel terreno estese anche per 90mila metri quadrati, lunghe 800 metri e profonde fino a venti (queste le caratteristiche di una cava sequestrata a Comiso), praticamente come un palazzo di sette piani. Buche macroscopiche emerse anche in aree sottoposte a vincolo paesaggistico e naturalistico come nel parco dell’Etna, dove in linea teorica anche spostare una pietra potrebbe rappresentare una violazione. Eppure, alcune cave sono state fermate, grazie ai carabinieri, solo dopo vent’anni di attività abusiva, come il caso di Nicolosi, dove una cava è risultata illecitamente operativa dal 1998. Altre cinque sono state sottoposte a sequestro in area vincolata del parco dell’Etna tra i Comuni di Mascali, Milo, Belpasso e Bronte. Mentre in provincia di Ragusa a essere interessati sono stati i territori di Comiso, Vittoria, Acate e Chiaramonte.

Ma come è stato possibile tutto questo? Chi avrebbe dovuto controllare e non lo ha fatto? A normare il settore è la legge regionale 127 del 1980 che fissa le disposizioni per la coltivazione dei giacimenti minerari da cava. Un’attività che dovrebbe essere «subordinata al rilascio dell’autorizzazione del Distretto minerario competente per territorio», enti regionali sottoposti al controllo del dipartimento all’Energia. L’autorizzazione, che ha una durata di 15 anni, è a sua volta subordinata «al versamento di una somma (alla Regione, ndr) da utilizzare per l’esecuzione delle opere di sistemazione dei luoghi per il recupero ambientale». 

Già, perché il problema in questi casi riguarda anche la tutela dell’ambiente e della salute pubblica. Oltre al fatto che, anche se il terreno è proprietà privata, il sottosuolo rimane sempre un bene pubblico. Per alcune delle cave sequestrate le autorizzazioni erano scadute, altre ne erano del tutto sprovviste. «Me l’ha lasciata mio padre», ha risposto uno dei proprietari di fronte al sequestro.  

Nella stessa legge si precisa che «l’attività di vigilanza è esercitata dal distretto minerario e dal Comune competente». Sono questi, dunque, i due enti che avrebbero dovuto controllare e che per anni sono rimasti latitanti. In realtà fanno comunque impallidire le cifre previste dalle sanzioni – tra i 10mila e i 20mila euro – a fronte dei danni ambientali che si sono lasciate dietro queste attività. Solo nei casi in cui le cave si trovano in territori vincolati, infatti, come sull’Etna, scatta anche il reato di natura penale

Così, per anni, un macrosistema illegale ha inquinato anche il mercato del ciclo della produzione del calcestruzzo. Alcune di queste realtà hanno venduto materiali che non avrebbe potuto né estrarre né produrre e lo hanno fatto a prezzi stracciati. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, in alcuni anche il 45-50 per cento in meno rispetto ai prezzi di mercato. Facciamo un esempio: il materiale lavico macinato, di norma venduto dai 12 ai 15 euro al metro quadrato, in questi casi non superava la metà della cifra. Un ribasso possibile solo dovendo affrontare i costi netti della produzione (spesso impiegando anche lavoratori in nero), e che a più livelli crea un danno immenso per tutta la comunità

A questo business avrebbe partecipato anche la criminalità organizzata. Gli 80mila metri quadrati di cava sequestrati a ottobre nel territorio di Bronte, in un’area sottoposta a vincolo, sarebbero infatti riconducibili a Giacomina Barbagiovanni, moglie di Antonino Sciacca, ritenuto appartenente alla mafia brontese che fa capo a Francesco Montagno Bozzone. Nel 2014, l’azienda Sicilia inerti era già finita nel mirino della Direzione investigativa antimafia con un sequestro – poi annullato – di tre milioni di euro. Inoltre, nel 2015, il figlio della coppia è stato arrestato dopo un anno di latitanza per omicidio, con l’aggravante mafiosa.

Elenco delle cave sequestrate in Sicilia
Mascali (Catania), località Vallonazzo, nella frazione Nunziata di Mascali
Mascali, contrada Nocille, vicino alla frazione di Montargano
Mascali, contrada Pedata Sant’Agata
Mascali, località Mertole e Costasovere della frazione di Puntalazzo di Mascali
Milo (Catania), località Caselle
Nicolosi (Catania), contrada Casellaccia
Belpasso (Catania), contrada Fra Diavolo nell’area di Piano cave
Nicolosi, contrada Casellaccia
Comiso (Ragusa)
Vittoria (Ragusa), località Piano Guastella
Acate (Ragusa), località Piano Colla
Chiaramonte Gulfi (Ragusa), contrada Coniglio
Acate
Bronte (Catania)

Salvo Catalano

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