“I reati di mafia sono reati di egoismo. Due o tre persone si mettono d’accordo per i propri interessi ai danni della società. Per sconfiggere questo egoismo ci vorrebbe la solidarietà, dovremmo essere tutti uniti. Però la solidarietà, nel mio caso, in Lombardia non è arrivata. Lodi e Milano hanno risposto in modo ‘corleonese’. Tutti i giorni mi arrivavano dimostrazioni di sostegno da parte della Sicilia, mentre la Lombardia stava zitta”. Parla così Giulio Cavalli, scrittore e attore di teatro civile, a cui qualche anno fa è stata assegnata una scorta dopo aver ricevuto molteplici minacce di tipo mafioso in seguito alla messa in scena di uno dei suoi spettacoli, in cui denunciava e sbeffeggiava alcuni tra i più potenti esponenti di Cosa nostra. Cavalli è giunto a Catania martedì scorso, per presentare il suo ultimo libro dal titolo Nomi, cognomi e infami, presentazione che si è svolta alla libreria Cavallotto di viale Ionio.
All’incontro hanno preso parte anche i ragazzi di AddioPizzo Catania. “Di solito si è abituati a sentire parlare di magistrati o poliziotti che hanno problemi con la mafia –dice Agata Pasqualino, rappresentante dell’associazione– , ma Giulio è un attore e con la sua arte sta dimostrando a tutti come l’arma più forte, quella che tutti noi possiamo usare contro le organizzazioni mafiose sia la parola. La mafia si sconfigge con la cultura. Tutti i catanesi dovrebbero leggere questo libro perché contiene molta Catania. C’è Fava, c’è AddioPizzo e c’è quello che probabilmente molti catanesi non conoscono, nonostante si dica che in Sicilia si parla sempre di mafia. La verità è che, –conclude la Pasqualino– per quanto se ne possa parlare, non è mai abbastanza”.
Lo scrittore lodigiano ha raccontato di essere stato accusato dalla sua città natale di “di essere troppo siciliano”. Ed ha poi aggiunto: “Dopo le prime minacce mi hanno detto di essermela cercata. Mi dicevano: sei andato lì, gli ha rotto le scatole e loro te l’hanno fatta pagare”.
L’attore ha parlato a lungo di come la mafia si sia diffusa nella sua regione, la Lombardia, situata nell’estremo opposto della nazione rispetto alla Sicilia, terra d’origine del fenomeno mafioso: “Abbiamo sindaci che dicono che la mafia non esiste –sostiene Cavalli-, ma la ‘ndrangheta nella regione lombarda la fa da regina, ed è come Cosa nostra era vent’anni fa in Sicilia: è tutta politica. Noi abbiamo una mafia che è para-clericale. La più grossa lobby è Comunione e Liberazione, che decide le nomine e gli appalti”. Ha poi aggiunto: “Mi arrabbio tantissimo quando sento parlare di anti-mafia in Lombardia: lì non esiste. In quella regione si crede di avere il diritto di non preoccuparsi”.
Cavalli, ha poi spiegato al suo pubblico, di ritenere anti-costituzionale l’indifferenza. Infatti: “secondo il quarto articolo della Costituzione italiana, ogni cittadino ha il dovere di concorrere alla crescita materiale e spirituale del proprio paese. Quindi Libero Grassi aveva il dovere di non pagare. E poi aggiunge che, secondo lui, un paese che si commuove così tanto solo per un attore sotto scorta, “è un paese che non ha memoria”.
Riguardo l’Italia e il suo rapporto con la memoria, con il ricordo di chi si è battuto per fare qualcosa di significativo contro la mafia, l’attore lombardo ha sottolineato: “Siamo un paese strano. Una volta l’anno guardiamo il film “I cento Passi” che racconta la storia di Peppino Impastato e ci commuoviamo anche, poi però, la sera andiamo a letto a dormire, convinti che, aver comprato il souvenir dell’antimafia e le indulgenze necessarie, possa bastare fino all’anno successivo. Non c’è, soprattutto nel profondo Nord, mai nessuno che pensa che la memoria non va solo commemorata, ma va esercitata. Noi siamo un paese che fa satira contro il Papa, contro il Capo del governo, contro le più alte cariche istituzionali, ma ha sempre lasciato impuniti i mafiosi”.
Sul suo libro, l’attore ha detto: “è un testo molto positivo. Ho conosciuto gente meravigliosa, persone come i ragazzi di AddioPizzo di Palermo, Pino Maniaci, Rosario Crocetta, Giovanni Impastato: un esercito silenzioso che aveva già capito che la parola è un arma”. Cavalli sottolinea inoltre quanto il volume gli sia servito anche per raccontarsi, raccontare alla gente il suo vero io, che è sicuramente diverso da quello che vuole rivendere la stampa, etichettandolo a seconda dei casi, “il giullare anti-cosche”, “il Saviano del Nord” o “il nuovo Dario Fo”.
Attraverso quello che scrive, Cavalli vuole testimoniare di come “l’errore che commettiamo in questo paese sia pensare che ci salveranno i magistrati, le forze dell’ordine, i teatranti e gli scrittori civili. Dimenticando, invece, che ci salveranno gli insegnanti civili, i camerieri civili e le casalinghe civili”. E a chi lo descrive come triste e malinconico, Giulio risponde di sentirsi contento per aver avuto la possibilità di incontrare persone che hanno combattuto e che combattono la mafia, e di ritenersi un privilegiato per aver potuto raccontare queste storie. Ha infine dichiarato: “Voglio raccontare che oggi c’è un’Italia rovesciata, un’Italia consapevole, che ha deciso da che parte stare e che dovrebbe diventare una lezione per Milano e per tutto il Nord”.
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