Dall’otto per mille al Municipio a un condono tombale sui tributi comunali. Mercoledì sera, mentre il Catania dava del filo da torcere alla Juventus, circa 140 persone non si occupavano di calcio, ma partecipavano a una sorta di seduta di autocoscienza: Dove abbiamo sbagliato? Di chi è la colpa? Che ne sarà di noi?
Mille domande, dubbi, soluzioni possibili sulla crisi che attraversa la città, su quello spettro, il dissesto finanziario, sulla bocca di tutti in queste ore, ma che apre scenari per niente chiari. A cercare di fare luce sono stati chiamati nella sede di Cittàinsieme di via Siena 1 Francesco Bruno, Ragioniere Generale del Comune e della Provincia etnea e Maurizio Caserta, ordinario di Economia Politica dell’Università di Catania. Due filosofie, quelle dei relatori, diametralmente opposte. Da una parte Bruno, che dopo aver ribadito la criticità della situazione finanziaria del Comune – 550 milioni di euro di debiti con le banche per mutui e prestiti, 174 milioni da versare ai fornitori, 157 milioni di debiti fuori bilancio (gli “imprevisti” del Monopoli, per intenderci, ndr) – si dice ottimista per il futuro: Se arrivasse in tempi brevi una risposta positiva da Roma, saremmo pronti ad attuare un piano di risanamento che ponga le basi di un cambiamento duraturo. Tradotto? Da adesso in poi, i bilanci comunali dovranno essere realistici e veritieri. E a chi gli chiede come è stato possibile che per anni non lo siano stati, Bruno risponde con il più classico degli esempi: Se in una famiglia ci sono entrate per 1.500 euro non se ne possono spendere ogni mese 2mila. Nel caso invece ci si trovasse costretti a dichiarare il dissesto, il tecnico tratteggia un futuro a tinte fosche: aumento di tasse, aliquote comunali, tariffe – dalla Tarsu all’addizionale Irpef, passando per il biglietto dei mezzi pubblici – ma non solo: In caso di dissesto – spiega Bruno – il ministero dell’Interno nomina una Commissione liquidatoria che avvia le procedure di accertamento del passivo. Da lì, partirebbe un complicato iter per cercare di saldare i debiti dell’ente ormai fallito: Verranno convocati tutti i fornitori, pensiamo alle cooperative sociali che da mesi non ricevono i pagamenti, e verrà offerta una cifra, che potrà essere anche il 30, il 40% inferiore rispetto a quella originaria. Questa trafila – lo sa bene anche chi ha avuto a che fare con il semplice fallimento di un’azienda – potrebbe concludersi anche dopo anni. Solo su un punto Bruno rassicura l’uditorio: i dipendenti comunali non rischiano licenziamenti o mobilità perché il loro numero è al di sotto del parametro (determinato sulla base della popolazione) fissato dalla legge. Questo perché – sottolinea Bruno – come in moltissimi Comuni italiani anche Catania ha visto l’esplosione delle società partecipate, da Sostare alla Multiservizi, che gestiscono i servizi pubblici in vece dell’amministrazione. Insomma, per Bruno, la prospettiva del dissesto va scongiurata per il bene di tutti. Non la pensa così il professor Caserta. Perché, spiega, ciò che ci appare oggi la soluzione migliore, è, in realtà, l’ennesimo macigno sulle spalle delle future generazioni di catanesi: Il rifinanziamento darebbe una immagine deleteria della città, che avrebbe ricadute negative pesanti sul lungo termine. In sostanza, Catania diventerebbe agli occhi dei mercati finanziari e degli operatori internazionali una bella ragazza borderline che si ostina a non dare alcuna certezza per il futuro. Chi se la prenderebbe una così? Il potenziale investitore valuterebbe il basso indice di qualità dell’amministrazione e probabilmente sceglierebbe un altro territorio, in grado di offrire i servizi con maggiore stabilità.
Al contrario, la dichiarazione di dissesto è come un “grido di riscossa”, musica per le orecchie del mercato: All’esterno – ragiona Caserta – sarebbe percepita come un segnale di coraggio, una predeterminazione di chi ha capito la serietà della situazione e vuole porvi rimedio. Certo è che, ammette lo stesso professore, per cambiare non basta chiudere i conti con la vecchia gestione: Dobbiamo chiederci perché non si riescono a sviluppare comportamenti virtuosi. Il grande male della pubblica amministrazione è il meccanismo perverso per cui più essa mostra la propria inadeguatezza nel dare risposte ai cittadini, più acquistano peso le lobby, i gruppi di potere, perché verso di esse sono orientate tutte le aspettative. Alla fine della seduta di autonalisi, le responsabilità di ciascuno affiorano in superficie: Ogni elettore ha il dovere di contribuire al processo di costruzione della virtù di chi l’amministra. Insomma: non vi lamentate se ve li siete scelti.
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