«Si è chiesto con fermezza che la facoltà di Lingue sia dismessa a Catania ed abbia sede solo a Ragusa, ove sono attivati i corsi specialistici in lingue e culture orientali. Occorre qualità, ma anche numeri, perché un Ateneo possa camminare con le sue gambe. Alias, le tasse degli studenti». Con questa dichiarazione rilasciata alla Gazzetta del Sud di giovedì, Giovanni Mauro – presidente del Consorzio universitario della provincia di Ragusa – ha dato voce ad una notizia che da qualche giorno veniva sussurrata tra i corridoi dell’ex Monastero dei Benedettini di Catania senza essere presa troppo sul serio: Lingue chiude a Catania. Immediate le proteste degli studenti della Facoltà che – in un tam tam 2.0 – hanno iniziato a far circolare il timore di una fine dei corsi su forum e social network.
L’ipotesi quarto polo poggia per il momento su due sole facoltà: Architettura a Siracusa e Lingue a Ragusa, più la problematica trasformazione in ateneo statale della Kore di Enna. Perciò da Roma (voci insistenti parlano di un diretto coinvolgimento della siracusana Stefania Prestigiacomo) sarebbe arrivato il diktat.
Se nessuna comunicazione ufficiale proviene per il momento dall’Ateneo (anche se si poteva intuire qualcosa dall’intervista rilasciata lo scorso 26 aprile dal Rettore), la notizia viene confermata dal preside di Lingue Nunzio Famoso: «Nel quadro di riorganizzazione dell’offerta formativa in Sicilia è prevista, a livello ministeriale, l’insediamento unico della facoltà di Lingue a Ragusa. Pertanto la facoltà a Catania dovrebbe chiudere. Questo è il fatto, ribadito anche dall’onorevole Mauro, con la soddisfazione del Rettore».
Come ha reagito la Facoltà?
«Noi abbiamo fortemente criticato queste “misure per il potenziamento”, che ci sembrano delle misure per il depotenziamento dell’Università di Catania. C’è una netta opposizione a tale progetto. Ci sono oltre 4.000 studenti, una Facoltà insediata da tempo, con delle strutture per la ricerca, dei docenti… Perfino i professori incardinati a Ragusa vorrebbero venire a Catania. Sembra una follia questa scelta. Il rischio è che si distrugga una Facoltà funzionante per sostituirla con una scatola vuota, senza accordarsi minimamente alla razionalizzazione del sistema pretesa dalla riforma Gelmini».
Qual è la vostra posizione?
«E’ semplice: nel panorama siciliano non ci sono altre facoltà di Lingue e c’è una forte domanda. Non si capisce perché si debba sottrarre a Catania la sua Facoltà per giungere alla costituzione di un polo autonomo. Se ne esistessero troppe si potrebbe pensare di eliminare doppioni, ma l’eventuale esistenza di due facoltà non lede gli interessi di nessuno. Con il numero chiuso l’offerta didattica è sottodimensionata e ci sarebbe dunque spazio per tutti: gli studenti potrebbero dividersi in entrambi i poli. Noi siamo disponibili a continuare a dare una mano per costruire una facoltà nell’area iblea. Ma è pura follia pretendere di intervenire con diktat ministeriali perché le università non possono improvvisarsi dove meglio aggrada. Noi ci abbiamo messo dieci anni avendo già un buon numero di professori di ruolo. E adesso non viviamo certo in tempi di “vacche grasse” per il sistema universitario».
Si è tenuto dunque un Consiglio.
«La Facoltà ha approvato un documento votato all’unanimità. Gli studenti stanno organizzando un’assemblea per mercoledì 5, ci sono riunioni… Spero che si trovi una soluzione concordata, perché se si continuasse con questa linea dissennata – come ho già preannunciato al Rettore – credo che ci saranno forti tensioni di cui qualcuno dovrà assumersi le responsabilità e che sarebbe il caso di evitare in un periodo in cui l’università non sta bene».
Ma non c’è la possibilità che si sia trattato di una semplice ipotesi, di una boutade?
«Su delega del Rettore – assieme alla vicepreside Gemma Persico e al prof. Giacomo Pignataro – abbiamo avuto il compito di convincere l’onorevole Mauro. Dopo aver ascoltato varie soluzioni, il presidente del consorzio universitario di Ragusa ha chiuso l’incontro dicendo che i margini di discussione non ci sono più, perché al Ministero è già stato deciso tutto. Se ci si dice così…».
Ma si è pensato a quali saranno le ripercussioni su studenti, docenti e lavoratori? Il presidente Mauro ha proposto qualche soluzione?
«L’onorevole Mauro ha un’esigenza territoriale e campanilistica, quella di riuscire ad appuntarsi al petto una medaglietta prima della scadenza del suo mandato. Se lì sono intenzionati a tenersi una facoltà un migliaio di iscritti, sono convinto che gli oltre quattromila di Catania non siano così scemi da farsi spostare. Le forze politiche si dovranno pronunciare. A Ragusa c’è stata una certa compattezza. Non so cosa farà il mondo sociale, sindacale, studentesco catanese. Se dovessi prendere atto che c’è un consenso generale, mi rimetterei a tale consenso traendone le conseguenze sul piano personale. Siccome capisco che non è così, ho il dovere, da Preside, di interpretare le esigenze della mia comunità».
Dal punto di vista tecnico, è possibile chiudere di punto in bianco una facoltà?
«Se il Ministero prende una decisione nel piano della riorganizzazione, con un decreto può farlo. Tra l’altro sarebbe un’azione difficilmente appellabile».
Ma si è già pensato a come “sistemare” gli studenti in corso?
«Non ce l’hanno detto. Si è parlato di un trasferimento a Ragusa degli iscritti, ma non mi pare neppure lontanamente immaginabile. Potrei anche assecondare questo timore per acuire lo scontro, ma non è affatto così. Credo che si potrebbero completare qui i corsi. Trovo però ingiusto che uno studente iscritto in Lingue prosegua in corsi che verrebbero dequalificati».
Oltre all’assemblea degli studenti, cosa prevede l’agenda dei prossimi giorni?
«Il Rettore sta convocando una serie di riunioni, la prima con i colleghi di Ragusa e successivamente con tutti i docenti. C’è una presa di posizione della Facoltà molto chiara e netta che richiede un dibattito in Consiglio, con una verbalizzazione, ma sono state convocate queste riunioni».
Fino a quando dovrebbe “vivere” la Facoltà?
«Ottobre 2011».
Secondo lei come si risolverà la questione?
«Su Ragusa non abbiamo mai fatto ragionamenti campanilistici o di dissolvimento. La comunità locale ha fatto degli sforzi, non può non essere ripagata per il suo impegno. Ma perché ciò dovrebbe avvenire a detrimento dell’Università di Catania? Abbiamo un bacino vasto. Un’ipotesi d’intesa e ragionevole collaborazione, con la diversificazione dell’offerta formativa, mi pare perciò praticabile. Da parte nostra c’è tutta la disponibilità a venire incontro alle esigenze di formazione del quarto polo. Se invece non dovesse trovarsi un terreno comune, basato sulla salvaguardia della serietà degli studi, sarà inevitabile una forte lacerazione. Bisogna tenere in conto le proteste degli studenti, delle famiglie… Credo che la pretesa di imporre una decisione unilaterale, improvvisata e del tutto irrazionale sia un azzardo».
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