Catania negata e riconquistata negli scatti d’artista «Il luogo più impressionante? Il Vittorio Emanuele»

Il Bastione degli infetti, Piazza dei libri, il pozzo di Gammazita, Palestra Lupo, il centro polifunzionale Midulla. E ancora l’associazione di aggregazione popolare Gapa, San Berillo, l’ex rimessa Amt e, persino, l’ospedale Vittorio Emanuele. Sembrano esserci tutti i luoghi recuperati negli ultimi anni a Catania e diventati centro della nuova vita sociale etnea, tra gli scatti fotografici di Adina Dell’Ali, catanese originaria della Romania. La sua mostra Spazi negati, spazi riconquistati, che immortala artisti circensi e personaggi vitali in contesti recuperati, rimarrà allestita al Monastero dei Benedettini fino ai primi di agosto, nell’ambito della manifestazione Porte aperte. Eppure «sono solo alcuni degli spazi negati e riconquistati che vorrei conoscere e fotografare – dice l’artista a MeridioNews – È un progetto a lungo termine che vorrei portare avanti nel tempo. Conoscere questi luoghi e non luoghi di Catania è stata una meravigliosa scoperta».

Cresciuta a Catania, un percorso iniziato in Scienze politiche e una laurea in Fotografia alla Laba di Firenze, Adina – in arte Wings – ha dichiarato subito il suo amore artistico e personale per Catania, presentando una tesi dal titolo Unni m’allippu, «in quanto in gran parte imperniata su foto scattate nella Catania viva, quella attuale, piena di umanità e folklore, in pescheria, tra i campanili di via Crociferi, fra le rocce laviche infuocate e i palazzi neri incorniciati di bianco. Insomma vera e propria street photography», racconta.

La scelta di oggi, invece, cade su posti da poco tornati a vivere, «dove il mio occhio ha percepito non tanto ciò che è reale ma quello che c’è aldilà delle cose o, addirittura, quello che vorrei che fosse. Mentre fotografavo, immaginavo qualcosa che in questi luoghi portasse allegria, magia, vita». Continua Dell’Ali: «Mi è venuto istintivo accoppiarli alla presenza viva di giocolieri e circensi, personaggi buffi che però mantengono una nota di malinconia nello sguardo e nell’essere. Ho cercato di dare voce alle mie visioni, colorando questi luoghi apparentemente abbandonati eppure ancora abitati come dallo spirito di chi li ha vissuti».

La fotografa visionaria, infatti, non riprende mai luoghi privi di vita, portandovi piuttosto la vita stessa. Così contribuendo – seppure in astratto – all’azione concreta svolta quotidianamente da associazioni come «il Gapa, Gammazita, la palestra Lupo, del cui universo sono entrata a fare parte da poco». A colpirla maggiormente «un luogo diventato quasi spettrale, dopo essere stato invaso per anni da persone, camici, sirene di ambulanze e persino aggressioni: l’ospedale Vittorio Emanuele – prosegue – La vita ospedaliera, infatti, si svolgeva all’interno di una cornice monumentale meravigliosa, tra viali infrequentabili la notte ma anche estremamente suggestivi. Ma da quando è stato dismesso è impressionante quanto sembri un posto fantasma». 

Antonia Maria Arrabito

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