«Non c’è anticipazione né sui nomi degli artisti né sui luoghi in cui si terranno i concerti, ma la gente ci conosce da più di 30 anni e si fida di noi». È sulla fiducia del pubblico, il più alto per numero di abbonati per il jazz in Italia, che punta Pompeo Benincasa, il direttore artistico della rassegna musicale Catania Jazz, nata 31 anni fa a Catania e diventata una delle più importanti e conosciute nel panorama europeo ed internazionale. «Per superare il momento più difficile di tutti» – perché «dal 1983 non è mai successo che i contributi della Regione siano fermi da tre anni», spiega – gli organizzatori chiedono agli spettatori di abbonarsi alla stagione 2014/15 con sei mesi di anticipo e senza un programma conosciuto, pagando 80 euro per 12 concerti, sempre divisi in due stagioni, e un ingresso gratuito ad un concerto di grande valore nellestate 2014, con cui si premierà la loro fedeltà.
Ad oggi hanno già risposto all’appello 50 spettatori. «Il nostro obiettivo non è quello di chiudere tutti gli abbonamenti adesso, ma arrivare al 30 per cento è possibile», afferma il direttore artistico. La campagna di abbonamenti al buio si chiuderà il 9 maggio, data dell’ultimo spettacolo della rassegna in corso con sede all’hotel Sheraton di Acicastello e nella sala concerti MA di Catania. «Una stagione con 400 abbonati e di grande sofferenza, realizzata dopo aver impegnato fidi bancari e risorse personali», dichiara Benincasa.
Eppure, per numero di spettatori l’attuale stagione ha visto un miglioramento rispetto alla scorsa, realizzata sempre allo Sheraton. «Ovviamente non è più possibile raggiungere i numeri di abbonati che si avevano quando la rassegna si svolgeva al teatro Metropolitan, dove è nata», racconta l’animatore di Catania Jazz. «Lo Sheraton ha una capacità di neanche 500 posti e il MA di 200, mentre il Metropolitan può accogliere fino a 1800 persone, ma abbiamo dovuto paradossalmente decidere di decrescere e dimagrire per sopravvivere», spiega. Il costo del teatro è diventato insostenibile per gli organizzatori della rassegna musicale: «Risultava essere nei fatti il passivo dei bilanci», dichiara Benincasa.
Scegliendo una sede più piccola, visto il numero di abbonati, non restano molte poltrone libere per chi vuole seguire un singolo concerto. «Per questo, paradossalmente, non si vedono più manifesti della rassegna in giro e non facciamo pubblicità: sarebbe uno spreco sostenere i costi di una campagna pubblicitaria per vendere una settantina di biglietti», afferma il direttore. «In pratica – continua – abbiamo dovuto mettere in atto la teoria della decrescita che nel nostro caso, invece di essere felice, non lo è, ma non c’era altro modo di continuare».
Secondo il fondatore di Catania Jazz, a penalizzare la rassegna è anche l’assenza di strutture pubbliche di grandi dimensioni. «Basta pensare che i posti del Bellini per ragioni di visibilità sono 700 e che la capienza degli altri teatri in città sono tutti al di sotto di quella del Metropolitan: questi non sono certo i numeri di una grande città metropolitana come la nostra», dice. Per Benincasa, per certi aspetti, bisogna essere grati al privato. «Dobbiamo ringraziare i proprietari del Metropolitan per non aver venduto la struttura – dichiara – perché se diventasse una sala bingo o un ipermercato a Catania ci sarebbe il vuoto assoluto».
Il problema più grande resta comunque quello dei contributi, perché una massa di pubblico imponente non salva comunque dal deficit. Oltre al record di spettatori per il jazz in Italia, l’associazione musicale etnea vanta quello di essere l’unica nel Paese a non aver mai ricevuto fondi dalla propria amministrazione comunale e provinciale. «Siamo l’associazione che incassa di più – 180mila euro nel 2013 – ma non siamo la più finanziata, perché non abbiamo nessun rapporto politico e siamo indipendenti», denuncia Benincasa. «Riceviamo – continua – un contributo modesto rispetto alle spese che si devono sostenere per una rassegna ai nostri livelli e per quello che noi produciamo in termini di pubblico e di artisti, investendo sulle loro tournée, cosa che qui non fa nessuno. In Sicilia non si premia chi produce di più, ma chi spende di più e produce meno».
Per la rassegna del 2013 la spesa è stata di 300mila euro. Sedicimila euro sono stati coperti dal contributo statale. L’ultimo contributo deliberato dalla Regione per il 2012, non ancora concesso, ammonta a 42mila euro. «È una cifra che copre meno del 15 per cento delle spese ed è destinata a diminuire», dice Benincasa. I fondi statali per il 2014 sono pronti dal 7 marzo, ma Catania Jazz non può ancora usufruirne perché lo Stato chiede di sapere a quanto ammantano gli altri contributi pubblici ricevuti nel 2013 e alla domanda non si può ancora rispondere a causa del ritardo della Regione. «L’autonomia in questi casi è meglio non averla – afferma Benincasa – Il paradosso è che i colleghi calabresi, per esempio, possono già avere i fondi e noi che siamo autonomi no. Ma la Sicilia è la terra dei paradossi, dove la normalità è la cosa più difficile da realizzare. In un paese normale – conclude – non saremmo costretti a chiedere alle persone di abbonarsi al buio, ma lo facciamo perché continuiamo a sognare un momento in cui questa normalità diventi reale».
[Foto di ostephy]
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