Catania: dovranno emigrare anche i pupi?

«A Catania la cultura è andata a farsi benedire: se non c’è sostegno e interesse di fondo è impossibile portare avanti la nostra tradizione». È la denuncia di Davide Napoli, esponente della più antica e nota famiglia di pupari catanesi, che opera ininterrottamente da quattro generazioni. Erano gli inizi del ’900 quando don Gaetano Napoli, bisnonno di Davide, diede inizio a questa attività. Nel dopoguerra la riprese suo nonno, Natale Napoli. E oggi la famiglia è formata dalla nonna ottantaduenne Italia Chiesa, dalla madre di Davide, Agnese Torrisi (direttore di scena), dal padre Fiorenzo Napoli (attuale direttore artistico della compagnia), da suo fratello Pippo (maestro costruttore) e dai figli di Fiorenzo: Davide, Dario e Marco Napoli. La famiglia Napoli è famosa in Italia a anche all’estero. «Ma la città di Catania – accusa Davide – non è stata mai sensibile alla nostra attività, o lo è stata veramente poco: noi siamo imprenditori di noi stessi, in questo momento non c’è nessun dialogo né con il Comune, nè con la Provincia».

In cosa consiste e come si svolge l’attività artigianale della vostra famiglia?
«Si tratta di un mestiere complesso che implica la conoscenza dei codici gestuali e vocali, relativi all’arte della drammatizzazione e della messa in scena. Inoltre il puparo è anche colui che si occupa dell’artigianato dell’opera dei pupi, cioè della costruzione dei pupi, delle scenografie, degli arredi di scena e delle strutture teatrali, compreso il sistema di “illuminotecnica”, che è un sistema particolare quasi esclusivo della nostra famiglia, grazie al quale si creano degli effetti scenici».

Avete la possibilità di lavorare in altre città?
«Talvolta siamo tentati di cambiare città; Palermo ad esempio ha saputo fare tesoro della sua tradizione di pupi. La città di Palermo forse ha un’attenzione un po’ saltuaria, tuttavia ci sono quindici compagnie di pupari che lavorano, ognuna con il loro spazio. Per noi è stato un grave danno il fatto di essere distanti e non avere quel supporto, se non nel periodo in cui siamo più volte invitati al “Festival di Morgana” a presentare le nostre rappresentazioni al pubblico palermitano».

Che cosa fanno i politici locali per non far scomparire questa importante tradizione del popolo siciliano?
«A Catania il sostegno politico non esiste. Il nostro primo rapporto lavorativo con l’amministrazione comunale è avvenuto lo scorso 25 aprile grazie all’insistenza di nostro padre. Nella manifestazione della provincia “Etnafest” prima siamo stati messi in programma, poi esclusi. Questa tradizione non viene sostenuta dai politici locali: abbiamo più rapporti con l’estero. Probabilmente è una questione di interessi partitici, perché non siamo mai stati servi di nessuno, né abbiamo mai frequentato segreterie politiche. Noi vogliamo fare i pupari, vogliamo fare gli artisti, loro vogliono gente al servizio della loro parte. L’unico luogo in cui possiamo incontrare coloro i quali sono interessati alla tradizione dei pupi è la nostra sede storica, cioè la casa bottega di via Reitano che è la nostra unica proprietà. Lì vicino c’è il nostro deposito, dove custodiamo i nostri materiali secolari, che per noi sono un tesoro inestimabile. Saremmo potuti diventare straricchi se l’avessimo venduto. Non l’abbiamo mai voluto fare né lo faremo. E speriamo che non lo facciano coloro i quali ci seguiranno, perché siamo sempre in attesa che si avveri il nostro sogno: quello di vedere finalmente realizzato un museo che ospiti questo materiale splendido e un teatro che dia modo alla famiglia Napoli di mostrare a chiunque questa tradizione».

La vostra famiglia ha mai avuto una sede stabile per gli spettacoli?
«In passato la nostra compagnia ha avuto sostegno sia dall’onorevole Enzo Bianco, ex sindaco, che dall’onorevole Nello Musumeci, ex presidente della Provincia, che realizzò il primo teatro stabile dell’opera dei pupi a Catania al centro fieristico “le Ciminiere”. Questo teatro ebbe un grande successo, ma allo scadere della convenzione venne chiuso. Si tratta di una struttura che è costata parecchi denari e vanta uno spazio eccellente dal punto di vista stilistico. Ancora oggi siamo in attesa di sapere se questo spazio continuerà ad esistere. Ogni tanto leggiamo sul giornale che viene affidato a gruppi di hobbisti che, secondo noi, non sono all’altezza. E ci permettiamo di dirlo perché abbiamo le prove video-filmate. Oggi su questi fatti c’è una scarsa informazione e la cittadinanza ne è tenuta all’oscuro».

L’Università di Catania cosa può fare per ravvivare questa tradizione?
«Noi non abbiamo molti rapporti con l’Università, ma li abbiamo con gli studenti, soprattutto con quelli della facoltà di Lettere. Spesso scelgono la nostra tematica per le loro tesi: fanno degli studi inerenti al nostro materiale, al repertorio, alla tradizione, alla messa in scena e agli spettacoli. Questo è stato possibile perché hanno avuto modo di accostarsi alla tradizione autentica, di chi questo mestiere lo fa da un secolo».

Dafne Di Natala

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