Catania archeologica, la galleria degli orrori Il sepolcro affittato dai frati agli ambulanti

«A mia, unni mi chiovi mi sciddica…», canta un lavoratore del mercato cittadino di piazza Carlo Alberto mentre sistema la sua merce in deposito. Un locale di proprietà dell’ordine dei Carmelitani che è soprattutto parte della camera mortuaria di epoca romana nota come tomba di Stesicoro. E adesso affittata agli ambulanti della Fera o lune. Dopo il caso della necropoli diventata succursale degli arrusti e mancia della via Plebiscito, solo un altro esempio di abbandono dei beni archeologici da parte della città. Spesso inaccessibili per l’incuria degli amministratori o perché private. Sulla carta o di fatto, a volte come estrema forma di tutela in ogni caso abusiva. Uno scenario in cui colpe e responsabilità sfumano per lasciare spazio a un’occasione mancata.

La tomba di Stesicoro è un locale di epoca romana di 53 metri quadrati, diviso al suo interno da due muri: tre quarti di proprietà dei Carmelitani della vicina chiesa della Madonna del Carmine – che hanno riacquisito la struttura dopo le confische del periodo dell’unità d’Italia – e la restante parte demaniale, all’interno del distretto militare Santangelo Fulci. Stessa camera mortuaria antica, ma due destini diversi. Di recente, infatti, il distretto militare ha siglato un accordo con l’accademia delle Belle arti di Catania per un intervento di recupero e valorizzazione della tomba autorizzato dalla sovrintendenza ai Beni culturali etnea. Il bene sarà quindi inaugurato tra poche settimane, con un plastico che lo ricostruisce nella sua interezza e diversi pannelli didattici per accompagnare le visite. Al di là delle pareti, però, gli addetti del mercato continueranno a caricare e scaricare la loro merce all’interno dello stesso locale antico, affittato dai Carmelitani agli ambulanti – nonostante il vincolo posto dalla stessa sovrintendenza – ma smentendo qualsiasi forma di introito.

E quello dell’antica camera mortuaria non è certo l’unico caso contro cui la Catania delle regole si scontra. Come per le terme di piazza Sant’Antonio, nel quartiere San Cristoforo, attorno alle quali il Comune di Catania ha costruito una struttura in vetro e acciaio per renderla fruibile. Per anni, sul cancello di ingresso, si trovano due lucchetti: uno dell’amministrazione etnea e uno del parco archeologico. Il bene intanto vive di abbandono e immondizia, e i suoi spazi vengono utilizzati come deposito per le scope dei netturbini comunali. Dopo la pulizia straordinaria organizzata dal parco insieme all’associazione Gapa – a cui andava affidato per le visite turistiche – la catena e i lucchetti scompaiono. Al loro posto compare un grosso catenaccio installato non si da chi, di cui la sovrintendenza non ha mai ricevuto la chiave e il Comune ignora persino l’esistenza. Nel quartiere la voce viene data per certa: a chiudere tutto sarebbe stato un personaggio molto noto nella zona, con precedenti cariche alla municipalità, per non disturbare le attività illegali dell’area.

Ma la lista dei misteri archeologici catanesi è lunga. C’è il colombario di epoca romana a San Gerolamo della Mecca, sotto la cappella dell’ospedale Garibaldi, accessibile da una botola con un coperchio talmente pesante che servirebbe una comitiva di atletici turisti per rendere accessibile il bene. Più volte il sacerdote ha chiesto alla sovrintendenza etnea che farsene dell’apertura, senza ricevere risposte. Ci sono poi i pavimenti musivi romani all’interno dell’ex Convento dei Gesuiti, in via Crociferi, chiuso da anni e pericolante in attesa dei lavori di restauro e messa in sicurezza. Sempre via Crociferi attende ancora i finanziamenti regionali da 36mila euro – parte di un capitolo ormai oscurato – per rendere fruibile il Portico dell’atleta secondo le normative europee.

E ancora il pozzo di Gammazita, fontana del ‘600 che si trova in via San Calogero, recintata da un cancello privato tirato su abusivamente per preservare il bene dagli spacciatori della zona. Fino a qualche mese fa, un cartello del Comune di Catania forniva un numero utile a quanti volessero visitare la fonte, ma il più delle volte l’interlocutore comunale risultava impreparato. Adesso è scomparso anche il cartello. Spostandosi fuori città, infine, la situazione non migliora. Come all’ex monastero di Santa Maria di Nuovaluce, datato 1300, vicino all’omonimia via, accanto al cimitero cittadino, sommerso dalla vegetazione spontanea e dai rifiuti. Un elenco per niente definitivo, che non tiene conto dei beni in terreni privati, di quelli accessibili solo in parte per motivi di sicurezza e incuria, ma anche delle bellezze realmente visitabili da cittadini e turisti. Elenco di cui CTzen si occuperà nella prossima puntata di questo viaggio alla scoperta della Catania archeologica.

[Foto di Luca Galli]

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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