Castello Ursino, apre mostra curata da Vittorio Sgarbi Un viaggio tra i secoli alla scoperta di tesori nascosti

Centocinquanta capolavori in mostra per raccontare lo svolgimento della storia dell’arte italiana, da Giotto, l’artista che ha rinnovato la pittura, fino a Giorgio de Chirico che, affascinato dall’arte antica, è stato il principale esponente della pittura metafisica, attraverso la quale ha tentato di svelare gli aspetti più misteriosi della realtà. Con questo obiettivo sono stati presentati, nella suggestiva cornice del Castello Ursino, I tesori nascosti da Giotto a De Chirico, la prestigiosa rassegna d’arte curata da Vittorio Sgarbi, e patrocinata dal Comune di Catania, che sarà fruibile ai visitatori fino al prossimo 20 maggio

Una ragionata selezione di opere, tra dipinti e sculture, che non provengono, come di consueto, dai musei o dalle gallerie d’arte aperte al pubblico, ma da collezionisti, fondazioni e importanti raccolte private italiane che, fino ad oggi, le hanno custodite. Opere inedite o difficilmente accessibili che rappresentano un inestimabile patrimonio culturale. «La chiave di lettura della mostra è la qualità e la rarità delle opere esposte – spiega Vittorio Sgarbi -. Meraviglie che possono essere di autori non sempre celebri ma comunque significativi». 

Un arco temporale di oltre sette secoli, dalla fine del Duecento alla metà del Novecento, che permetterà agli appassionati di apprezzare l’evoluzione degli stili, delle correnti e gli snodi fondamentali della storia dell’arte italiana. Dalle raffigurazioni sacre a quelle allegoriche e mitologiche, dal genere del ritratto a quelli del paesaggio e della natura morta. «Le mostre precostituite – aggiunge Sgarbi – vengono ormai guardate con sospetto. Io ho voluto un’esposizione che suscitasse curiosità e mostrasse anche delle stravaganze. Metà dei quadri, infatti, sono di artisti che nessuno conosce, a cui sono affiancate opere poco conosciute ma di artisti noti». 

Un lungo percorso suggestivo che si snoda dalle maschere federiciane, della metà del XIII secolo, alla Madonna di Giotto; dalla Maddalena addolorata di Caravaggio, al Profeta di Jusepe De Ribera, solo per citare i più famosi. Ma lo straordinario progetto artistico vede protagonista anche la Sicilia, con i Ritratti dei Principini Marescotti di Parrano, del palermitano Sebastiano Ceccarini, il Piccolo cantiere di Francesco Lojacono, a cui si aggiungono il Tavolo del maresciallo di Pippo Rizzo e la Damigiana e bottaccino di Renato Guttuso. 

«La mia prima concezione era quella di caratterizzare questa mostra con le opere dei musei minori della Sicilia – prosegue Sgarbi – per fare una grande mostra di capolavori siciliani. La metà delle opere esposte sono nuove rispetto a quelle presentate nel resto d’Italia. Variazioni importanti che, però, avrei voluto più intensive». Scorci del nostro patrimonio storico-artistico che si pongono come la naturale estensione de Il Tesoro d’Italia, la straordinaria raccolta presentata all’Esposizione universale di Milano nel 2015, nella quale è stata documentata la varietà dei grandi capolavori, dal Piemonte alla Sicilia, che all’interno del maniero federiciano dialogano con le opere già esposte. 

«A Castello Ursino – dichiara Sgarbi – ho trovato un dipinto di Antonio Amorosi, un pittore marchigiano di genere molto sofisticato, che ho aggiunto alla mostra, insieme una bellissima tavola, che io ritengo di attribuire a Francesco Cairo, uno dei grandi pittori del Seicento Lombardo. Tesori nascosti che si trovavano all’interno di uno spazio conosciuto, e che oggi vengono riproposte, studiate e scoperte. Questo aspetto – avverte il critico d’arte – testimonia non solo che l’Italia è ricca di passato ma anche di un futuro, che è dentro quel passato, fatto di cose nascoste, non riconosciute, o magari non datate o non identificate. E la Sicilia ci dà molte ragioni di speranza, rispetto al suo futuro, se i beni culturali saranno il primo punto della sua impresa di rinascita. Oggi – conclude Sgarbi – l’idea di investire sull’arte, soprattutto in Sicilia, è un dato ineludibile».

Salvo Caniglia

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