«Ci sono cose che per qualcuno potrebbero essere evidenti, mentre per altri, per chi non è esperto del settore, non lo sono affatto». Ha esordito così questa mattina in aula Matteo Tutino, l’ex primario di Villa Sofia che deve rispondere di aver spacciato degli interventi di chirurgia estetica per funzionali, dirottandoli nella struttura pubblica. E che oggi ha chiesto ai giudici della terza sezione penale di prendere la parola dopo il controesame del medico Antonio Iacono. «Parto dall’argomento Ochoa – dice subito, alludendo al medico messicano conosciuto nel 1998 -, esiste una check list a cui noi medici dobbiamo rigorosamente attenerci. Quando il paziente viene addormentato, vengono identificati i medici in sala, nel caso specifico emerso durante il processo si trattava di un paziente con un carcinoma specifico, per il quale in molti muoiono entro il primo anno. Dalle foto intraoperatorie si nota che viene asportato il mascellare e le ossa della faccia e viene fatta ricostruzione con muscolo temporaneo sceso, è evidente che io da solo non avrei potuto farlo».
Motivo per cui chiede al collega messicano che è in sala con lui come observer di intervenire in suo supporto, anche se in minima parte. Circostanza che oggi gli viene contestata: per l’accusa infatti Tutino avrebbe dichiarato il falso indicando il dottor Ochoa appunto come observer, che viene interpretato come osservatore. Ma l’ex primario chiarisce: «Ho utilizzato io stesso questo termine nelle cartelle: secondo gli standard della Comunità Europea è consentito agli observer intervenire per il 10 per cento di un’operazione. Se avessi voluto scrivere osservatore, avrei fatto così usando la terminologia in italiano. Se ho usato quello invece è proprio per questo aspetto. Non è un falso, in inglese il termine implica che può intervenire, una meta traduzione dall’inglese all’italiano non è un falso». Racconta di aver avuto due opzioni tra cui scegliere: una era di non procedere a causa dell’assenza dei colleghi in sala operatoria, malgrado il paziente fosse già addormentato. La seconda era quella di procedere comunque con l’intervento.
«Ho giudicato prioritaria la sua vita piuttosto che l’ammutinamento dei medici che avrebbero dovuto essere lì anziché a discutere o a togliere qualche verruca – insiste Tutino -. Non c’è poi bisogno di avere tanti testimoni, basta leggere le linee guida, certe cose sono umilianti per chi ascolta qui in aula e per chi come me è imputato». È un po’ un rispondere, il suo, punto per punto alla testimonianza sentita prima, quella di Iacono, che si è protratta per circa tre ore. Com’è nello stile dell’ex primario, che già in passato aveva chiesto ai giudici di parlare e chiarire alcuni passaggi, a margine delle testimonianze appena ascoltate in aula. E sente di dover chiarire anche il mistero dei dieci (a volte quindici) giorni di distanza tra la data di ricovero di alcuni pazienti e la data, poi, dell’effettivo intervento, troppi per un caso di day hospital: «La preospedalizzazione è la fase d’ingresso del paziente all’interno della struttura ospedaliera per espletare esami che rientrano nella valutazione generale, dall’ecocardiogramma agli esami ematochimici, non parliamo quindi di scheda anestesiologica, ma di accertamenti eseguibili fino a 15 giorni prima dell’intervento. Sono scritte qua, e se mi consentite lo farei vedere pure dove è scritta la data di intervento. Basta saperlo leggere, questo foglio».
Infine, ecco che si torna a parlare anche del caso Rosario Crocetta e sbiancamento anale: «Questa cosa in medicina esiste e si fa con creme, non si può più sentire questa grande falsità che una sala operatoria verrebbe utilizzata per questa cosa, è offensivo sentire questa cosa per la corte e per chi è qui che ascolta. Voglio si sappia che non è un intervento chirurgico – spiega per la prima volta in aula, nel tentativo di spazzare via le polemiche sull’intervento fantasma di cui si vociferava in ospedale all’epoca -. Io ho operato Crocetta con un intervento fatto in privato in extramoenia e per cui sono stato abbondantemente pagato con un compenso di 24mila euro, ci sono fatture pubbliche che parlano chiaro. Sarei stato così folle da andare in ospedale a prendere una sala. Una cosa contro ogni logica».
E in effetti il medico Antonio Iacono ha ribadito, poco prima delle precisazioni fortemente volute da Tutino, di non aver mai visto coi propri occhi un documento in cui fosse scritto, nero su bianco, di un presunto ricovero di Crocetta a Villa Sofia per un intervento di liposuzione che comprendesse anche l’ormai notorio sbiancamento anale. «In quel periodo ero responsabile delle sale operatorie e delle loro assegnazioni per gli interventi – spiega in aula -, ero venuto a conoscenza di questa voce, me l’aveva confidato il caposala della sala operatoria, il dottor Amato, mi disse che c’erano queste voci sempre più frequenti di un intervento a Crocetta di lì a breve, una domenica o un giorno festivo. Anche l’addetta alla sala operatoria, infermiera del reparto di Chirurgia, mi confermava che anche in reparto c’era questa voce. Che poteva diventare magari fuori controllo, insomma c’era un po’ la preoccupazione che lo venissero a sapere i media e la divulgassero». Solo voci, quindi. Come aveva già spiegato poco più di un mese fa davanti ai giudici.
«Io non ho mai visto un pezzo di carta, perché non era uso – aggiunge il teste – In quel periodo e in quel contesto, c’era un passaggio anomalo anche nelle comunicazioni che venivano fatte per gli interventi, era un po’ free e quasi sganciata dal mio controllo. Non mi arrivavano notizie sulle sedute operatorie. Ma ribadisco, mai visto un pezzo di carta. So che era previsto, si rincorrevano queste voci. Io mi sono preoccupato della risonanza mediatica che una cosa del genere avrebbe potuto aver, ma anche sulla visibilità dell’allora presidente della Regione. Preoccupazione sull’ordine pubblico, insomma».
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