Caso Scirè, motivi della condanna e silenzio di UniCt «La commissione era consapevole di violare la legge»

Una commissione di professori universitari che avrebbe agito con la consapevolezza «di violare la legge tanto che, posti davanti alla necessità di riesaminare la questione, non esitavano a reiterarla». Parole che sembrano macigni quelle scelte dai giudici della terza sezione penale del tribunale di Catania nelle motivazioni che hanno portato alla condanna di Simone Neri Serneri, Luigi Masella e Alessandra Staderini. Rispettivamente presidente, componente e segretario della commissione che nel 2011 si occupò del bando per l’assegnazione di un posto da ricercatore di Storia contemporanea alla sede di Ragusa dell’allora facoltà di Lingue dell’università di Catania. 

A sollevare il caso Giambattista Scirè, uno dei candidati rimasti esclusi. Da otto anni impegnato in una lunga battaglia fatta di udienze e sentenze della giustizia amministrativa. L’ultimo capitolo di questa storia è passato però dalle aule di piazza Giovanni Verga, con la condanna a un anno per abuso d’ufficio nei confronti dei tre componenti della commissione. Le prove decisive, secondo i giudici, stanno nei documenti finiti agli atti del processo. Incartamenti che svelerebbero «la manipolazione della realtà a opera della commissione giudicatrice».Concorde nell’assegnare il posto all’architetta Melania Nucifora. Bollata dai togati, presieduti dalla giudice Maria Pia Urso, come la candidata favorita attraverso «una tela pazientemente tessuta per aspirare a entrare in un settore accademico diverso da quello che ci si sarebbe aspettati». La professionista in sostanza non avrebbe avuto i titoli per ottenere quel contratto a tempo determinato all’interno dell’Università. «Un architetta che – si legge nelle motivazioni – sulla via di Damasco viene folgorata dagli studi di storia contemporanea e che abusivamente ne comincia a corteggiare il contesto».

In un quadro fatto anche di un presunto conflitto d’interessi tra la vincitrice del bando e il presidente della commissione chiamata a giudicare. Come, ad esempio, la presenza di entrambi nel comitato scientifico dell’Aisu (Associazione italiana di storia urbana). Per i giudici Nucifora avrebbe provato a «riscrivere la propria carriera universitaria, indossando un abito da storica sopra quello da architetta». La sua è «la vittoria del paradosso» contro dei «giganti della materia». Tra questi c’è il primo dei bocciati: Giambattista Scirè. Sul caso per tre volte si sono espressi i giudici amministrativi. Nel 2012 chiedono alla commissione di riesaminare la questione ma il risultato rimane identico. Tre anni dopo il Tar accoglie il ricorso di Scirè, confermando la tesi anche davanti al Consiglio di giustizia amministrativa. 

Nelle 33 pagine delle motivazioni i giudici si soffermano anche sul ruolo dei consulenti della difesa. Chiamati a processo in qualità di tecnici per definire meglio se l’attività della vincitrice del bando potesse essere inquadrata nell’ambito della storia contemporanea. Per i togati però Paolo Macrì e Fulvio Cammarano sarebbero giunti a «a risultati indimostrati, smentiti dalla normativa di settore su cui non spendono una parola». Ma cosa ha fatto l’università di Catania in questi otto anni? Qualche chiarimento, in forma ufficiale, lo ha chiesto il viceministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti. Su tutto «la mancata costituzione nel processo come parte offesa e la mancata esecuzione delle sentenze amministrative del 2014 e del 2015». Presa di posizione seguita da quella del presidente della commissione parlamentare antimafia Nicola Morra, che in un tweet ha scritto: «Dopo otto anni di sentenze di tribunale, l’ateneo di Catania è stato costretto a riconoscere di essersi comportato mafiosamente con un giovane ricercatore».

Dario De Luca

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