Chi si attendeva dichiarazioni esplosive è rimasto deluso. Alla sua prima apparizione da imputata in un’aula di giustizia l’ex magistrato Silvana Saguto, per una vita seduta dietro lo scranno dei giudici, ha reso brevi dichiarazioni spontanee al tribunale che la processa, insieme ad altri quindici imputati fra parenti ed ex colleghi, per la presunta gestione illecita dei beni confiscati alla mafia, mentre era presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo.
«Mi scuso per essere stata finora assente, ma ho avuto problemi di salute. Mi difenderò con tutti gli strumenti che la legge mi riconosce, anche facendo dichiarazioni spontanee tutte le volte che lo riterrò», ha detto l’ex magistrata finita sotto processo per corruzione, concussione e abuso d’ufficio. Nota per il suo temperamento irruento e per i modi bruschi, capace di sonore lavate di capo pure a boss come Totò Riina, l’ex giudice, radiata a tempo di record dal Csm dopo la notizia dell’inchiesta a suo carico, avrebbe gestito come fosse cosa sua la sezione simbolo della lotta ai clan. Affidando, in cambio di favori ai suoi familiari e regali, amministrazioni giudiziarie milionarie a uomini del suo cerchio magico. Tutte «accuse mediatiche», così le ha definite oggi davanti al tribunale. Il suo legale, l’avvocato Ninni Reina, ne ha chiesto l’interrogatorio. E sarà quello forse il momento in cui tenterà di difendersi a pieno dalle accuse.
Oggi sul banco dei testi è salito uno degli amministratori giudiziari che l’imputata avrebbe favorito: Alessandro Scimeca , gestore di un supermercato confiscato a un presunto prestanome dei boss Lo Piccolo. Saguto e i suoi familiari avevano un conto aperto col negozio arrivato a circa 18mila euro. «Le avevo rateizzato il debito perché mi aveva detto di avere problemi economici», ha spiegato il teste. Tra i coimputati dell’ex giudice spicca la figura dell’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, destinatario di decine di incarichi come amministratore giudiziario. L’indagine che ha portato al processo è una costola di un’altra inchiesta nata a Palermo e si è incentrata anche sulle operazioni finanziarie in qualche modo riconducibili al sistema secondo l’accusa manovrato dall’ex giudice e nelle quali avrebbe avuto una parte anche il padre Vittorio Saguto, anche lui rinviato a giudizio.
Imputati anche il marito della ex presidente, l’ingegnere Lorenzo Caramma, e il figlio Emanuele. A Caramma lo studio dell’avvocato Seminara avrebbe affidato consulenze per alcune centinaia di migliaia di euro. Nello scambio interessato di favori sono coinvolti anche l’ex prefetto di Palermo, Francesca Cannizzo, gli amministratori giudiziari Aulo Gabriele Gigante, Roberto Nicola Santangelo, l’ex giudice della stessa sezione della Saguto, Lorenzo Chiaramonte, e due docenti universitari della Kore di Enna: Carmelo Provenzano, che aveva dato una mano negli studi al figlio della Saguto, e Roberto Di Maria. A completare il quadro degli accusati sono anche due magistrati, Tommaso Virga e Fabio Licata, e il cancelliere del tribunale di Palermo Elio Grimaldi, che hanno però scelto il rito abbreviato. Nei loro confronti il pm ha già chiesto le pene.
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