Le novità annunciate dai legali del professor Alberto Fichera alla fine ci sono state. Il docente della facoltà di Ingegneria di Catania era stato accusato nel luglio scorso di falsa perizia e corruzione, nell’ambito delle indagini su un duplice omicidio nel quale risultano coinvolti Aniello Bidognetti e Vincenzo Tàmmaro, del clan dei Casalesi. Dopo aver trascorso sei mesi agli arresti domiciliari, il 18 gennaio Fichera era stato liberato. In quell’occasione i legali si erano mostrati fiduciosi sui successivi sviluppi della vicenda, ma avevano mantenuto il massimo riserbo sulle carte che intendevano giocare. Un riserbo di cui adesso si comprende la ragione.
Le novità sono state rivelate ieri alla stampa dai legali catanesi del professore, gli avvocati Giovanni Avila e Piero Nicola Granata che – con il collega napoletano Bruno Von Arx – hanno seguito la vicenda giudiziaria. Punto centrale di quella che appare una svolta nelle indagini è la perizia fonica effettuata dall’ingegner Roberto Porto: in base a essa la Procura di Napoli aveva deciso di procedere nei confronti del prof. Fichera. Ma questa perizia è andata a finire martedì scorso dentro un processo completamente diverso e indipendente da quello contro Fichera: un processo contro un cittadino albanese, anch’egli accusato in base a una perizia dell’ingegner Porto.
Due processi uniti dunque, in apparenza, solo dal nome di un esperto sui cui rilievi si fonda l’accusa. Ma il colpo di scena sta proprio qui. È infatti risultato che le due perizie firmate da Porto – che riguardavano da una parte il cittadino albanese e dall’altra un boss della camorra morto sette anni fa – contenevano valori identici. Un po’ come dire che due persone hanno le stesse impronte digitali. Impossibile. Lunedì mattina le carte dei due processi, collegati appunto dalle consulenze di Porto, si sono mescolate tra loro. Il perito, che si era presentato in udienza per essere interrogato nel processo al cittadino albanese, si è infatti trovato inaspettatamente di fronte uno dei legali di Fichera, l’avvocato Avila. Un coup de théâtre che mette seriamente in discussione l’impianto accusatorio del processo Fichera e a seguito del quale – secondo le richieste della difesa – dovrebbe adesso essere rivista la posizione del professore. Ma come è stato possibile intrecciare due processi indipendenti l’uno dall’altro? Lo ha spiegato a Step1 proprio l’avvocato Avila.
«E’ accaduto che ci siamo rivolti, nel corso di questa indagine difensiva, ad un consulente di parte, il prof. Andrea Paoloni, direttore della sezione suoni della fondazione “Ugo Bordoni”, la fondazione che ha in licenza il software di analisi dei suoni, appunto, e delle voci. Durante i suoi accertamenti per conto nostro, Paoloni ha avuto modo di verificare la consulenza fatta dall’ing. Roberto Porto sul materiale repertato e analizzato dal prof. Fichera. Già i valori dell’accertamento fatto sulla perizia Fichera erano risultati, per Paoloni, incongrui. Le tabelle non erano del tutto compatibili con il sistema scientifico».
Ma questi elementi riguardano solo il processo Fichera. Come si è arrivati al collegamento con il secondo processo, quello contro il cittadino albanese?
«Per mera coincidenza, entra in gioco un altro consulente che era stato nominato da un albanese detenuto, imputato per traffico internazionale di droga e sotto processo a Napoli. In quel processo, il Tribunale di Napoli aveva nominato come perito l’ing. Porto. Una volta avuta la sua perizia, il consulente dell’albanese ha riscontrato a sua volta delle anomalie e ha interpellato anche lui il prof. Paoloni. Quest’ultimo, riscontrando le stesse tipologie di incongruenze col sistema scientifico nelle quali s’era imbattuto durante il caso Fichera, e verificando che il consulente che aveva effettuato le due perizie era lo stesso, ha chiesto di poter visionare la perizia originale».
Dal confronto cosa è emerso?
«Paoloni s’è reso conto nelle due perizie c’erano valori identici. Cioè, i valori della voce del soggetto periziato da Fichera, Tàmmaro, morto sette anni fa, coincidevano perfettamente, anche nei decimali, coi valori della telefonata intercettata a carico dell’albanese, un anno fa. È una cosa impossibile sia per la ragione più evidente, ovvero che Tàmmaro è morto, sia perché due persone non possono avere gli stessi valori formanti della voce. E’ come l’impronta genetica, costituita dal dna. L’impronta vocale, soprattutto tra soggetti che sono di etnie differenti (un albanese e un italiano, campano), è inverosimile che sia identica in più casi. Basta considerare che l’identità assoluta delle formanti è impossibile nello stesso soggetto se registrato con mezzi diversi, tipo un’intercettazione, o un microfono».
A quel punto cosa è accaduto?
«Paoloni ci ha girato le nuove perizie di Porto e, quando ci siamo resi conto dell’enormità della situazione, abbiamo aspettato fino all’udienza pubblica di martedì, quando abbiamo reso nota la notizia. Mi sono fatto nominare legale dell’albanese, all’unico scopo di poter interrogare Porto e, di conseguenza, far emergere i fatti che abbiamo scoperto nel corso dell’indagine».
Quali sono le conseguenze di questa scoperta rispetto alla difesa di Fichera?
«Questo conferma quello che abbiamo sempre sostenuto, cioè che il prof. Fichera ha sempre operato in perfetta buona fede e in assoluta corettezza, anche scientifica. A questo punto chiediamo immediatamente un incidente probatorio affinché un giudice per le indagini preliminari nomini un collegio che faccia luce e chiarezza su questa vicenda».
Intendete procedere in qualche maniera nei confronti di Porto?
«Ciò che è successo e la ragione per cui le due tabelle delle perizie siano identiche non ci interessa. Noi abbiamo semplicemente messo alla luce e fatto risaltare un fatto storico: due perizie per due soggetti diversi, svolte dallo stesso perito, presentano valori identici. Perché questo sia avvenuto lo accerterà un’altra autorità, poiché ieri, in udienza, il procuratore ha chiesto la trasmissione degli atti al suo ufficio per la valutazione di questi fatti».
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