Caso Biondo, infermiere condannato a due anni La sorella: «Sentenza servirà come deterrente»

Colpevole di omicidio colposo e condannato a due anni di reclusione. È questa la decisione che ha preso il giudice per l’infermiere dell’Asp 8 di Siracusa Giuseppe Alicata, imputato per la morte di Stefano Biondo, il 21enne siracusano disabile psichico morto il 25 gennaio del 2011 nella struttura dove era stato trasferito, dopo tre anni trascorsi nel reparto di Psichiatria dell’ospedale Umberto I. Soddisfatto l’avvocato Massimo Lo Vecchio, legale della sorella Rossana La Monica: «Abbiamo accolto favorevolmente la condanna – dichiara a MeridioNews – e anche l’entità della pena, soprattutto se rapportata alla richiesta che aveva fatto precedentemente il pubblico ministero». 

A febbraio, infatti, il pm aveva avanzato per l’imputato una richiesta di condanna a nove mesi per il reato di omicidio colposo che prevede pene da sei mesi a cinque anni. «In pratica, per loro, la vita di mio fratello vale meno di un furto di arance», era stato questo il commento della sorella amareggiata. Adesso il giudice ha chiesto anche il pagamento delle spese processuali per seimila euro e un risarcimento danni alla famiglia della vittima che si era costituita parte civile durante il processo. Una vicenda giuridica travagliata che aveva visto il pm Giancarlo Longo, in un primo momento, chiedere l’archiviazione per il procedimento. Accolta l’opposizione, era stata poi ordinata una integrazione delle indagini che aveva portato al rinvio a giudizio. «Adesso, il giudice è stato più giusto – aggiunge Lo Vecchio – perché ha tenuto conto anche di profili di responsabilità più gravi per l’infermiere. Per esempio, ha considerato il fatto che Stefano era sedato, mentre veniva bloccato da Alicata con quelle manovre che gli hanno impedito di respirare». I due referti del medico legale Giuseppe Bulla, infatti, parlano di morte per asfissia meccanica da soffocamento causata o dalla chiusura diretta di naso e bocca o dalla compressione della gabbia toracica

«Per i sette anni che non abbraccio più mio fratello non c’è una pena sufficiente – commenta Rossana, che del giovane era anche tutrice legale – ma è un buon segnale che un giudice ribalti e aumenti la pena chiesta da un pubblico ministero. Con l’augurio – conclude – che questa sentenza possa dissuadere ogni sanitario psichiatrico che penserà di praticare certe manovre». Le motivazioni della sentenza saranno depositate il 18 giugno e la difesa ha tempo di presentare il proprio appello fino al 2 di settembre. «Ci appelleremo – afferma a MeridioNews l’avvocato Domenico Mignosa, legale dell’infermiere che non è mai stato sospeso dalla propria funzione – perché crediamo all’innocenza dell’infermiere. Sia certi che quella manovra sia stata corretta e, dunque, non c’è stata nessuna imperizia da parte del mio assistito. Fra l’altro, dall’autopsia non c’è certezza che Stefano sia morto per asfissia meccanica e – conclude il legale – non è stata esclusa la possibilità di un infarto provocato dall’assunzione cronica di farmaci».

Marta Silvestre

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