Casamonica, il vescovo che vieta i funerali ai boss «Roma impreparata, in Sicilia applicate restrizioni»

Da New York, dove sta trascorrendo un periodo di vacanza, Antonino Raspanti, vescovo di Acireale, ha guardato il video del funerale-show di Vittorio Casamonica, punto di riferimento di una delle famiglie mafiose più influenti di Roma. «Sono rimasto stupito da quanto la capitale sia apparsa impreparata a un evento simile. In Sicilia, per il passato che abbiamo alle spalle, siamo più preparati ad affrontare emergenze del genere». Nella diocesi che guida, i funerali per i condannati in via definitiva per mafia sono vietati da due anni. Un provvedimento unico in Italia e voluto dallo stesso Raspanti, originario di Trapani. «Ma è bene precisare una cosa: se l’episodio di Casamonica fosse capitato da noi, il mio divieto non sarebbe stato valido, non trattandosi di un condannato al 416 bis».

Significa che lei avrebbe celebrato quel funerale?
«Senza condanne come posso oggettivamente acquisire gli elementi per dire che c’è un affiliazione mafiosa? La morte però è un momento di grande riconoscimento pubblico, in cui si rischia di ostentare un potere. Noi questo non possiamo avallarlo. Esistono alcune restrizioni che in Sicilia sono state già applicate. Ecco, io in questo caso le avrei usate». 

Di che si tratta?
«Le esequie si possono celebrare con o senza messa. Recentemente i vescovi di Mazara del Vallo e Agrigento hanno applicato restrizioni per defunti in odor di mafia, sostituendo ad esempio alla celebrazione eucaristica una semplice benedizione. Si tratta di provvedimenti, disposizioni disciplinari che un vescovo può emanare. Ribadisco quanto ho detto in passato e ha affermato don Ciotti: tra Vangelo e mafia non c’è compatibilità». 

Ma per la Chiesa l’unico a poter giudicare resta Dio. 
«Certamente, le coscienze non si possono appiattire sulla giustizia terrena. È giusto offrire l’assistenza religiosa perché il defunto è un figlio di Dio, così come i parenti. Noi dobbiamo amministrare misericordia. Ma allo stesso tempo non si può slegare l’interiorità e la coscienza dalla giustizia terrena. Ho sentito alcuni parenti di Casamonica dire che loro chiederanno scusa solo a Dio o al papa. È sbagliato, perché così si slega la coscienza dal vissuto sociale, dalle relazioni, da uno Stato a cui noi cattolici diamo fedeltà». 

Un vescovo può non sapere se nella sua diocesi viene celebrato un funerale a una persona in odor di mafia o condannato?
«Sì, è possibile che il vescovo non sappia niente. Spetta ai parroci segnalare situazioni particolari. Nelle regioni del Sud questo avviene spesso, i sacerdoti conoscono il territorio. Se il parroco non si fosse accorto, quanto successo a Roma sarebbe potuto accadere anche nella mia diocesi. Forse il Meridione è più preparato ad affrontare questi problemi. Anche per la collaborazione con le istituzioni dello Stato». 

Secondo lei nel caso del funerale a Casamonica sarebbe stato necessario più dialogo tra Chiesa e istituzioni pubbliche?
«Non so se c’è stato. Se fosse successo in Sicilia, quasi sicuramente ci sarebbe stato un contatto con la questura. A Palermo, ma non solo, prima che intervenga la Chiesa spesso agisce la questura o la Direzione distrettuale antimafia. Capita mille volte di bloccare funerali. In questi casi è il cappellano del cimitero a dare una benedizione al momento della tumulazione. Se il questore vieta i funerali, la Chiesa non può che fare un passo indietro, non può certo andare contro l’ordine pubblico». 

Lei ha affermato che il Sud è più preparato di fronte a questi casi. Ma le mafie sono ormai in tutto il Paese. Ritiene che la Conferenza episcopale italiana debba emanare direttive generali precise?
«Non so, forse sarebbe eccessivo. Fare proclami che nessuno osserva sarebbe peggio. Le conferenze regionali dei vescovi potrebbero essere più attente perché conoscono meglio il territorio. In ogni caso le nostre restrizioni mirano alla conversione, a far riflettere il mafioso o la famiglia che gli sta attorno. Gesù dice: “Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva”». 

Da quando è stato emesso, il divieto di celebrare funerali ai condannati al 416 bis nella diocesi di Acireale è mai stato applicato?
«No, non abbiamo avuto nessun caso. Ma siamo stati abbastanza attenti a questo aspetto. È giunta una segnalazione dalle forze dell’ordine relativa a una festa patronale. Ma con una presa di posizione ferma sia da parte dei sacerdoti che della parte laicale coinvolta nella festa siamo riusciti a bloccare presenze non opportune». 

Di quale paese della diocesi si tratta?
«Su questo non posso rispondere per non esporre chi è in prima fila». 

Salvo Catalano

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