Carteggi di Vincenzo Bellini, arriva nuova edizione Volume racconta il rapporto tra l’artista e la città

Presentato nei locali dell’archivio di Stato di Catania e organizzato dal Lions club, in occasione del centenario dell’associazione, Carteggi di Vincenzo Bellini rappresenta un’indagine inedita sul percorso artistico, intellettuale e compositivo del cigno catanese. Pubblicato da Olschki e con l’edizione critica curata da Graziella Seminara, docente di Musicologia e Storia della musica dell’università di Catania, il volume affianca, per la prima volta, le lettere del musicista etneo con quelle dei suoi corrispondenti. Un meticoloso lavoro di ricerca, durato cinque anni, tra biblioteche italiane e straniere, o segnalate sul mercato antiquario, che costituisce la prima ricostruzione integrale del corpus epistolare belliniano

«Il libro raccoglie 517 lettere, di cui molte inedite – spiega Seminara – reperite soprattutto in alcune biblioteche tedesche, che nessuno aveva mai segnalato. Siamo anche riusciti a recuperare delle missive, delle quali si conosceva l’esistenza, ma di cui non si aveva più l’autografo. Questo ci ha permesso di svolgere un lavoro più accurato sui testi». Condotta attraverso criteri scientificamente aggiornati, basati sull’incrocio tra competenze musicologiche e metodi d’indagine propri della Filologia e della ricerca storica, l’edizione fornisce anche informazioni uniche per l’identificazione di diversi interlocutori del maestro, la cui identità era finora ignota agli studiosi. 

«Abbiamo tenuto conto degli studi sulla grammatica epistolare dell’Ottocento che si sono sviluppate ultimamente presso alcune università come Urbino e Perugia – prosegue Seminara – delle ricerche sulla filologia, quindi sull’edizione critica dei testi, su quelle musicologiche e storiografiche, che ci ha permesso di ricostruire l’identità di tutta una serie di figure che ruotavano intorno a Bellini, ma di cui non si avevano notizie». «In particolare – aggiunge la docente – quella di Luigi Naselli Flores, un aristocratico palermitano che era stato costretto a riparare a Parigi e, dall’incrocio con le lettere indirizzate a Bellini, trovate nelle biblioteche tedesche, è emersa una personalità che, ancora oggi, è del tutto sconosciuta agli studiosi». 

Un complesso approccio interdisciplinare che ha permesso di indagare anche sulla specificità della scrittura di Bellini in rapporto al tipico stile epistolare dell’Ottocento. «Bellini, nelle sue lettere, utilizza il lessico del tempo attraverso sicilianismi, regionalismi e soprattutto delle cronache teatrali spiega la docente -. Frequentando ambienti aristocratici, librettisti e poeti il suo scrivere subisce, con il passare del tempo, un’evoluzione. L’artista catanese acquista una nuova consapevolezza culturale e il suo linguaggio, la sintassi, la morfologia e la grammatica migliorano enormemente rispetto alle prime lettere». 

La ricostruzione che viene riproposta ora, a più di cinquant’anni di distanza da quella di Luisa Cambi che, nel 1943, aveva pubblicato, per Mondadori, la prima edizione critica. Quell’epistolario è stato considerato, nel corso degli anni, un punto fermo dagli studiosi del compositore ed era basato principalmente su un impianto biografico, che raccoglieva la corrispondenza fin lì conosciuta, dalla Supplica del maggio 1819 agli ultimi biglietti del settembre 1835, scritti dal musicista dalla residenza di Puteaux poco prima della sua morte. La recente edizione è invece incentrata sul rapporto tra Bellini e la città di Catania e, grazie a essa, si acquisisce viene restituita una nuova fotografia della personalità artistica e umana del musicista.«Dalle lettere che abbiamo ritrovato e studiato, emerge una figura di Bellini del tutto nuova e disincrostata dalla tradizione iconografica – aggiunge la docente -. Una personalità molto interessante che mostra un’artista che aveva piena consapevolezza del suo ruolo». «Bellini – conclude Seminara – è stato il primo in Italia a prendere consapevolezza che un’artista aveva dei diritti sulla propria opera, e voleva che anche in Italia si applicasse il diritto di autore».

Salvo Caniglia

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