FINO AD OGGI I RISULTATI DELLA MONETA UNICA SONO STATO MODESTI. PESSIMI PER IL NOSTRO PAESE. SE NON SI CAMBIA REGISTRO VA ADOTTATO IL PIANO B PROPOSTO DA FASSINA
L’euro, come si sa è al centro di una grande discussione riguardante la sua validità sulla scorta dei suoi risultati a poco più di un decennio dalla sua assunzione quale moneta unica europea. Diverse sono le opinioni di esperti e premi Nobel, nonché movimenti politici e interi Stati europei che ne hanno preso le distanze o, addirittura, si guardano bene dall’entrare nella sua orbita. Non tanto per la moneta in sé, quanto per la interpretazione che al suo ruolo si è voluta attribuire.
Va detto molto esplicitamente che se ha valore come divisa interna ad un’area di libero scambio ha un qualche significato, ma se gli si vuole attribuire valore negli scambi commerciali globali ha fallito miseramente la sfida. Il dollaro, al di là degli accordi di Bretton Woods, ha stravinto la battagli per la semplice ragione che rappresenta un’entità politica ben definita e, perciò, affidabile politicamente ancor prima che commercialmente. Cosa che l’euro non è.
Nel dibattito nazionale ha assunto valore decisivo il semestre di presidenza italiana dell’Unione europea. La parola d’ordine con la quale il nostro Paese si accinge al compito è: No all’austerità, sì alla crescita.
Bene. Ma i nostri governanti, ed in particolare Sandro Gozzi, nominato responsabile, con delega, agli Affari europei, hanno chiaro che senza l’immediata regolamentazione politica dell’euro e della Banca centrale europea, con compiti di vera banca centrale, è assolutamente inutile parlare di crescita?
Se Matteo Renzi avrà la capacità e la forza di conseguire questi due risultati avrà reso un grande servizio all’Italia e alla sua ripresa economica ed avrà conquistato grande merito alla causa europea. Laddove su questo terreno non riuscisse a combinare un bel niente, allora avrebbero ragione sia Stefano Fassina con il suo piano ‘B’ ed il professore Emiliano Brancaccio, docente di Economia all’università del Sannio a Benevento.
Il professore Brancaccio ne parla con Alessandro D’Amato su Giornalettismo e ricorda che già dal 2007, ancor prima che arrivasse la crisi finanziaria internazionale, aveva previsto, con un intervento sulla rivista Studi economici, quanto è successivamente accaduto: deflazione prodotta dall’euro, esplosione dello spread e la spending review concordata da Mario Monti con l’Europa. Da allora la situazione è peggiorata, come riporta Libre-associazione di idee, dalla quale abbiamo tratto le presenti considerazioni: La Banca centrale europea è disposta a difendere i Paesi in difficoltà solo se questi si impegnano a mantenere le politiche di austerità.
L’idea è che queste politiche dovrebbero concorrere a risanare i conti pubblici e ripristinare la fiducia dei mercati finanziari. In realtà, questa politica non risana un bel niente. Anzi deprime i redditi e questi non possono pagare i debiti. Un circolo vizioso che, anziché ridurla, accresce la instabilità dell’eurozona.
Questo il quadro che si presenta a Renzi all’esordio del suo semestre alla guida dell’Europa. Ove non dovesse riuscire nell’intento del rilancio dell’economia e dell’occupazione, specie giovanile, e sulla regolamentazione dell’euro e della Banca centrale, varrebbe di sicuro il piano B di Fassina che prevede per l’Italia la convenienza ad uscire dalla zona euro e farsi in proprio la politica economica e finanziaria.
Sappiamo bene che sarebbe una sconfitta su tutto il fronte. Avrebbero vinto ancora una volta gli Stati Uniti che non hanno mai visto di buon occhio la nascita dell’Europa politica ed hanno sempre tentato di sabotarla, a cominciare dal tentativo di far nascere l’Efta, l’area di libero scambio in competizione con la Cee, ad opera delle loro pedine europee, Regno Unito in testa e poi con il tentativo di immettere nel mercato l’euro falso, stampato a Palermo , per sabotarne l’introduzione.
Così come sappiamo che il governo Prodi tentò di evitare l’ingresso nell’area euro sin dal principio perché riconosceva che così com’era nato non andava bene per il nostro Paese. E ricordiamo che fu tentato un approccio con la Spagna per evitare che l’Europa mediterranea venisse coinvolta nella nascita dell’euro a quelle condizioni e che il governo spagnolo, al tempo governato da Josè Maria Aznar, suocero dell’attuale Mariano Rajoy. Aznar oppose il suo rifiuto alla proposta del governo italiano ed ora gli spagnoli ne pagano le conseguenze, ivi compresa la probabile secessione della Catalogna, così come il Portogallo e la Grecia, purtroppo con il suo default.
Gli Stati Uniti non vogliono che nasca una potenza politica di mezzo miliardo di cittadini europei, preferiscono trattare con i singoli Stati membri uno ad uno al fine di estendere ovunque la loro rete militare ed impiantando ovunque basi militari, come avverrà a Kiev in un prossimo futuro (a questo proposito si accettano scommesse) a seguito della separazione dell’Ucraina e della Crimea: separazione gli americani che hanno fomentato con i moti di piazza, camuffati da proteste popolari. Come, del resto, è nella strategia americana di crearsi piccoli spazi territoriali, ben armati, nei Paesi dover intervengono per ‘proteggere la democrazia’. Gli esempi non mancano: Corea del sud, Kuwait, Kosovo, Guantanamo, a suo tempo le Hawaii e adesso l’Ucraina occidentale.
Al fine di contrastare questo disegno egemonico pensiamo che si debba cercare fino in fondo di salvare l’euro all’interno di una Europa politica unita, confederata e popolare. Ma per fare questo va mandata in soffitta la politica dell’austerità, con buona pace degli interessi tedeschi.
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