Quello che, di fatto, è stato il concerto conclusivo della ricca stagione di Catania Jazz all’inizio figurava come uno dei primi in cartellone. Poi qualche imprevisto di sorta (problemi familiari dell’artista), e Carlo Fava si è esibito al teatro Ambasciatori lunedì 21 maggio anziché a gennaio.
“Un peccato aver dovuto posticipare” ammette il direttore artistico della rassegna, Pompeo Benincasa, che introduce l’ospite aprendo per lui la scena, “Carlo è uno degli artisti più colti del panorama italiano. Ci auguriamo inoltre che il cambio ai vertici del teatro Stabile sia accompagnato, per la stagione che verrà, dalla stessa apertura mentale che aveva caratterizzato la precedente gestione”.
L’ultimo baluardo, in un’Italia “che non legge e che non pensa”, del teatro-canzone che fu di Giorgio Gaber e di Paolo Conte, si avvicina al pianoforte sorridendo. Ed è subito “Un discorso in generale”, il brano che si aggiudicò il premio della critica a Sanremo 2006.
Giusto il tempo di presentare Beppe Quirici e Vittorio Marinoni (produttore, arrangiatore e bassista d’occasione il primo, batterista cresciuto con il blues e il rock, successivamente avvicinatosi al jazz il secondo), discreti compagni d’avventura, ed è la volta di “Tenera è la notte”, quindi di “Se fossi il futuro”, prima di citare, nel primo di una lunga serie di recitativi che scandiranno il silenzio tra una canzone e l’altra, Edoardo Sanguineti e la sua amarezza nel constatare che “in Italia ci sono più scrittori che lettori”, triste pensiero che fa da sfondo a “L’Italia non legge” (L’Italia non legge, non legge il giornale / Figuriamoci un libro, al limite un settimanale / L’Italia se parla, parla solo in inglese / Con la Fabbri editore alla fine del mese […] E invece io che finalmente torno a casa / Indeciso tra il mio Aristotele e Platone / Nel dubbio mi sistemo sul divano / Solo un minuto di televisione…/ Materassi con le pentole in omaggio / Lo sapevo, ci vuole proprio un bel coraggio / Ballerine che ballano col seno / di coraggio ce ne vuole…un po’ di meno).
Il resto del percorso tocca punte di ironia disarmante, attraversa il mare dei sentimenti per approdare sulle rive dell’amore (dell’amore infetto, rabbioso, insaziabile, delicato), ma senza mai gettare l’ancora. Sorride e fa ridere, ammicca ai misogini, sussurrando, frattanto, meravigliosi segreti all’orecchio delle donne. Da “Metroregione” a “L’uomo flessibile”, da “Sotto il quadro di Chaplin” alla vivacissima “Cofani e portiere” (un omaggio a tanti grandi della musica, della poesia e del cinema, nei confronti dei quali la riverenza è sincera e risulta divertente, per via del gioco del “cambiamo mestiere a…” e della scelta di cantarla con un marcato accento partenopeo, peraltro credibilissimo, che sa tanto di “Don Raffaé” – Paolo Conte faciva l’avvocato, / Genio Montale faciva o manovale / A tempo perso scriveva poesie, / Genio Montale non le scriveva male. […] Pirandello faciva ‘o panettiere / E sistemava tutti i suoi panini in fila / Se gli chiedevi un filone solo / Ti rispondeva: “ o nessuno o centomila”), passando per “La scaletta” (breve sfottò di quel “telegiornale che tutto il mondo ci invidia, Studio Aperto”), “La palude” e l’intensa e nostalgica “L’ultima volta che ho visto i tuoi occhiali”, la voce e l’anima di Carlo Fava vibrano all’unisono, intarsiando armonie accese, sempre vive.
E non ci stupiamo affatto quando il pubblico chiede il bis, sorridiamo insieme quando quest’uomo di talento torna sul palco sostenendo di aver “già suonato tutto quello che sapevo!”, per poi regalarci “Uguali e nuovi”, una canzone d’amore cui è particolarmente legato, ed infine “In caduta libera dall’ottavo piano”. Tuttavia, riaccese le luci e guadagnata l’uscita dal teatro, un dubbio ci assale. Una domanda comincia a farsi strada dentro di noi: perché un bravo pianista, dotato di spirito d’osservazione, e che conosce bene il mondo in cui vive e si muove, perché una voce così piacevole ed emozionante, che esegue testi originali ed inconsueti quando non toccanti o divertenti ricamati su melodie eleganti, perché un cantautore che è anche un bravo attore, e che vanta collaborazioni con i più grandi artisti della scena nazionale, riceve al massimo il premio della critica, e non il successo di pubblico che merita?
A voi l’inquietante risposta.
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