«Nel processo di riassetto generale di tutti i centri produttivi che la tedesca Heidelberg ha in Europa, temiamo che possa smantellare quelli ritenuti non più convenienti e, tra questi, c’è anche lo stabilimento ex Italcementi a Carini. Chiediamo l’intervento del governo siciliano per salvaguardare il tessuto produttivo nell’Isola». A rischio, per il segretario regionale Fillea Franco Tarantino, ci sarebbero i circa 100 lavoratori della storica cementeria del Palermitano, da mesi in regime di cassa integrazione, dopo l’acquisizione da parte del colosso tedesco Heidelberg. «Italcementi è un’industria storica di Brescia – racconta Tarantino -, ma recentemente è stata ceduta a Heidelberg. Il nostro timore è che essendosi spostato il cervello dell’impresa da Brescia in Germania, siano riviste tutte le attività produttive mettendo a rischio quelle siciliane». Nell’Isola, inoltre, rischia un’altra azienda. la Colacem di Pozzallo, che in ogni caso non è stata assorbita dal gruppo tedesco.
Non si tratta, tuttavia, di un caso isolato: la crisi che ha colpito il comparto nel Paese ha radici lontane, con effetti non indifferenti sui livelli produttivi. In meno di dieci anni, per la precisione dal 2008 al 2016, si è passati da 47 milioni di tonnellate di produzione a 19 milioni mentre, in Sicilia, la produzione di cemento si è ridotta da 3,9 a 1,3 tonnellate. In pratica, quasi un quarto in meno mentre, parallelamente, sono aumentate le importazioni, soprattutto dall’Africa. «Un prodotto molto competitivo dal punto di vista del prezzo – spiega ancora Tarantino -, ma del quale non si ha cognizione della qualità, e questo ha messo fuori mercato molte delle nostre cementerie». Per i sindacati, quindi, l’azienda tedesca avrebbe tutto l’interesse a chiudere i centri produttivi periferici, dove costa molto più produrre che importare, coerentemente con «il processo di acquisizione avviato per eliminare i concorrenti».
«In Sicilia il colosso tedesco ha assimilato ingenti quote di mercato – prosegue il sindacalista – e già hanno smantellato il sito di Porto Empedocle. Ora temiamo che possano smantellare quelli ritenuti non più convenienti e, tra questi, c’è anche Palermo». A pagarne il prezzo più alto sarebbero i lavori, compresi quelli dell’indotto. Ma i timori riguardano un po’ tutta l’Italia e, non a caso, la mobilitazione prevista per giovedì prossimo, anche nel capoluogo, è su scala nazionale. «Alle istituzioni – scrivono in una lettera, inviata al presidente della Regione Nello Musumeci, Franco Tarantino (Fillea), Santino Barbera (Filca) e Franco De Martino (Feneal) – chiediamo di impegnarsi per salvare il settore cemento dal saccheggio e per rilanciarlo non soltanto con un rinnovato impegno alla spesa per investimenti in infrastrutture ma anche con politiche di rilancio che facciano perno sull’industria 4.0».
Le associazioni dei lavoratori hanno chiesto al nuovo inquilino di Palazzo d’Orleans di essere ricevuti per affrontare l’argomento – appuntamento fissato per giovedì alle 12, al termine del sit-in – mentre, a livello nazionale hanno chiesto l’apertura di un tavolo interministeriale e alle aziende di aprire il confronto sui piani industriali «affinché siano coerenti con gli interessi generali e rispettosi dei principi di responsabilità sociale d’impresa, difendendo l’occupazione sia con progetti di riconversione dei siti produttivi, sia con l’utilizzo di ammortizzatori sociali». «L’azienda al momento dà rassicurazioni – conclude Tarantino -, ma loro stanno ragionando sul riassetto complessivo. Non parlano ufficialmente di chiusura, ma fanno intuire che le attività saranno in gran parte chiuse».
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