Cara Terra, buon compleanno! «È dalla cura che parte il futuro, la speranza»

Mia cara Terra, no, non è un manifesto, solo quattro pensieri sparsi senza un vero ordine. Nel giorno del tuo compleanno – che capodanno è questo e basta – mi piacerebbe che (non dico che i botti del mondo si fossero inzuppati d’acqua, anzi lo scrivo subito) tutte le luci fossero accese a metà e si rendesse omaggio a te sottovoce, senza nessun urlo, nessuna grancassa. Almeno una stagione così, di luci basse e rumori misurati. L’inverno del letargo umano. Una sospensione per ricominciare diversamente, partendo dalla cura oggi dimenticata, o buttata per comprarne un’altra, da usare-consumare-buttare daccapo. La cura per la zolla, il melo, la scarpa, i figli. La cura della manutenzione della vita, tutta la vita che senza te non ci sarebbe. E’ dalla cura che parte il futuro, quello che i credenti chiamano speranza.

La mia speranza sei tu, e mi piacerebbe che dalla tua enorme e ancora a noi sconosciuta porzione di mondo oceanico, partisse la favola che sconfigge la realtà. O perlomeno la intacchi, la metta in discussione e faccia guardare con occhi diversi quelle schiere di profeti di scienza organizzati a cantare il tuo e il nostro imminente de profundis. Sto parlando della nave sorpresa dai ghiacci in Antartide, di quella nave che tiene a bordo una spedizione il cui capo è un eminente scienziato del clima, che vede il tuo riscaldamento come la freccia del tempo. Invece è rimasto lì tra i ghiacci imprevisti, con la sua teoria in mano come un cerino acceso che nel freddo incalcolabile gli s’è spento tra le dita. Una specie di sosta di riflessione che gli hai – e ci hai – voluto imporre. Non male per una vegliarda di quattro miliardi e cocci di anni, non male…

Mia cara Terra, ti auguro almeno altri cinque miliardi di questi giri attorno al Sole – dopo basta, ti starai stancata, perché la vita stanca. E ti lascio con due pensieri che quest’anno ho colto. Il primo è di una persona che conosco, fa il vulcanologo all’università, insegna ai ragazzi il tuo respiro, li prepara a capire il primo spettacolo del mondo. Carmelo Ferlito – così si chiama – ha detto, in un congresso di geologi, di rispolverare la prima regola di questa professione: tutelare l’ambiente con la cultura del territorio che ci è stata insegnata. Dovremmo essere i tuoi medici guardiani senza che nessuno ancora ci riconosca veramente il ruolo.

Il secondo appartiene, invece, a una persona che non conosco, ma mi piacerebbe. Fa il maestro elementare e scrive libri strani, si chiama Franco Arminio. Senti che roba scrive: «Ci vorrebbe l’idea che noi siamo della Terra, ci vorrebbe che a tavola, nei bar, sulle panchine delle piazze, sulle spiagge, si parlasse del nostro pianeta. La Terra deve essere fasciata, lenita, accudita con mille attenzioni. Negli uffici pubblici non ci dovrebbe essere l’immagine del Presidente della Repubblica, ma quella della Terra».

E pensare che ci sono degli idioti, nel parlamento di questa piccola Repubblica, che promulgano leggi secondo le quali per andare a vedere un’eruzione vulcanica si dovrebbe pagare. Pensa, si potrebbe arrivare a pagare per una passeggiata sotto una nevicata, per godere delle fioriture in primavera, per fare una foto al mare in tempesta. Ma non t’incazzare con loro, sono idioti appunto, cioè non sanno quello che fanno. Io credo ancora nell’uomo, in quella moltitudine silente che lascia dire e sa vivere con te, ritrovandosi con te, e infrangendo se occorre certe bollate idiozie.

Al prossimo giro! Buon compleanno.

 

[Foto di Taliesin]

Sergio Mangiameli

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