Al Capo adesso è tutto tranquillo. I turisti continuano ad affollare lo storico mercato, facendo acquisti e scattando foto tra le bancarelle. Mentre gli ambulanti, fra loro, discutono serenamente di frutta e di pesce. Un clima surreale, dove parlano di tutto tranne di quello che è accaduto questa mattina intorno alle 7.30, quando il trentenne Andrea Cusimano, che aveva un banchetto di frutta poco prima di Porta Carini, è stato freddato con quattro colpi di pistola. Ha tentato di mettersi in salvo in direzione del mercato ma, colpito più volte, è stramazzato a terra. È morto al Civico, dove i soccorsi sono stati inutili. A sparare sarebbe stato Calogero Piero Lo Presti, che dopo l’agguato è salito in auto, dove è stato fermato da due carabinieri, che lo hanno arrestato. Il complice alla guida, invece, è riuscito a fuggire. Non è un nome come gli altri, quello di Lo Presti, che per amici e conoscenti è solo Piero. Vanta, infatti, una parentela di tutto rispetto e un’eredità criminale legata a quel cognome che forse non ha lasciato scampo neppure a lui.
È nipote dell’ominimo Calogero Lo Presti, boss di Porta Nuova arrestato nel 2011 con l’operazione Pedro, così denominata proprio per via del suo soprannome. È conosciuto nell’ambiente mafioso, infatti, come zio Pietro. Coinvolto nell’omicidio di un picciotto di Borgo Vecchio, che voleva farsi strada nella mafia che conta, Davide Romano, ritrovato ad aprile dello stesso anno nel portabagagli di una Fiat Uno abbandonata in una traversa di corso Calatafimi. A fare il suo nome è prima il pentito Francesco Chiarello e dopo anche Vito Galatolo. È tornato in carcere il 20 luglio di quest’anno, dopo che la Cassazione ha confermato la sua condanna scaturita dal blitz del 2011. Gli restano da scontare quattro anni e tre mesi. Ha atteso la sentenza nell’albergo di Villa San Giovanni in cui viveva ed è adesso detenuto a Reggio Calabria.
A pesare, però, sulla storia del cognome Lo Presti sono anche le vicende di un altro personaggio di spicco della famiglia, Tommaso, detto u pacchiuni, cugino di secondo grado del presunto killer di questa mattina. Un nome, anche il suo, noto alle forze dell’ordine. Arrestato il 7 febbraio del 2008 nell’operazione Old Bridge, che rivelo l’esistenza di una connessione ancora solida tra mafia siciliana e mafia americana. Prima di quell’arresto aveva deciso di restare in disparte, in attesa degli sviluppi di un precedente processo a suo carico. Le responsabilità però lo inchiodano di nuovo al suo destino quando, solo un mese prima di quel blitz, viene chiamato a prendere in mano le redini del mandamento. A investirlo di questo delicato incarico è suo zio Gaetano Lo Presti, anche lui coinvolto in prima persona negli affari della cosca: dopo un quarto di secolo passato in galera per un omicidio, esce nel 2006 ma riprende immediatamente i soliti affari e nel 2008 viene arrestato in seguito all’operazione Perseo e incarcerato al Pagliarelli, dove si impicca il giorno stesso dell’arresto. Un gesto da ricollegare, forse, alle intercettazioni e alle dichiarazioni di alcuni pentiti che lo incastravano. Ma zio Tanino fa in tempo ad affidare il nuovo mandato della famiglia a Tommaso.
Il nipote però non dura molto: nel 2014 si fa arrestare di nuovo, questa volto coinvolto nell’operazione Iago. È accusato di essere il mandante dell’omicidio di Giuseppe Di Giacomo, ucciso a marzo di quell’anno per le strade della Zisa. A far scattare l’omicidio potrebbe essere stato il fatto che la vittima non aveva aiutato i familiari dei detenuti, generando il malcontento all’interno della cosca. Un atteggiamento, quindi, che andava punito. A incattivirlo, però, sono anche altri episodi personali. Come l’omicidio di Totuccio Lo Presti, suo padre. Muore di lupara bianca nel 1997, il suo cadavere viene ritrovato nelle campagne di Carini da Marcello Fava, collaboratore di giustizia che prima di pentirsi era affiliato alla cosca di Partinico e legato al boss Vito Vitale, ritenuto coinvolto nell’omicidio. Uno sgarbo mal digerito da Tommaso Lo Presti e che avrebbe voluto vendicare. A sostenerlo nelle sue delicate scelte c’è la moglie Teresa Marino. Una donna boss che, finito dentro il marito, manda avanti gli affari di famiglia, prenendo in mano la situazione e decidendo di lavare i soldi sporchi delle estorsioni e dello spaccio in attività di facciata, come la vendita dei frutti di mare, che le frutta non pochi introiti. Fino a quando non viene pizzicata anche lei e arrestata nel 2015.
Intanto, le domande sollevate dall’omicidio di questa mattina non sono poche. Tra tutte, quale sia il movente dell’agguato. Pare che la vittima, prima di essere ammazzata, abbia litigato con alcune persone. Non si sa ancora, però, se tra queste ci fosse anche il presunto killer, né si conoscono le ragioni del litigio. Nonostante la genealogia del presunto omicida, non si assicura quindi che possa trattarsi di un delitto di mafia. L’ultima volta però che Cosa nostra è tornata a sparare lasciando un morto per terra è stato poco lontano dal luogo del delitto di oggi quando, a maggio, a essere freddato in pieno giorno mentre pedalava è stato Giuseppe Dainotti, anche lui pezzo storico del clan di Porta Nuova.
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