Alla Provincia di Palermo è arrivato nel 1979. Dopo aver vinto un regolare concorso pubblico. Prima il lavoro nelle scuole, poi dal 1995 l’impiego nella sede di Palazzo Comitini per occuparsi di informatica. Adesso Totò Badami rischia di non vedere nemmeno la pensione. Così come i 1.200 dipendenti dell’ex Provincia di Palermo, che nei prossimi mesi potrebbero di finire in mobilità senza posti disponibili dove essere ricollocati. «Viviamo un vero dramma – racconta a MeridioNews -. L’abolizione delle province doveva essere la strada per ridurre sprechi e costi della politica, invece la riforma mancata si è tradotta in una penalizzazione per i dipendenti e nell’azzeramento dei servizi resi ai cittadini».
L’annuncio della fine delle province il presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, l’aveva fatto, ormai due anni fa, in diretta su Rai Uno. All’Arena di Giletti aveva consegnato la sua rivoluzione. Ma non sono bastati ventiquattro mesi per mettere a segno il colpo. L’Assemblea regionale siciliana lo scorso aprile, con voto segreto, ha approvato l’emendamento del Movimento Cinque Stelle, che prevedeva la soppressione dell’articolo 1 del ddl per l’abolizione degli enti intermedi, facendo cadere l’impalcatura della legge.
«L’iter del ddl si è bloccato – spiega il capogruppo di Forza Italia all’Ars, Marco Falcone – per l’assenza della maggioranza e per la sua litigiosità. Un gruppo incapace di mettere in piedi una riforma seria». Per il forzista quella portata in Aula, infatti, era «un’operazione di maquillage, un testo che scopiazzava la legge Delrio e che dava vita ad enti evanescenti senza una precisa fisionomia». La riforma deve tornare in commissione e a Sala d’Ercole al più presto. «Chiederemo ad Ardizzone di calendalizzarlo il prima possibile e rilanceremo la nostra proposta» assicura. Una riforma che per Falcone deve seguire tre direttrici: l’elezione diretta del presidente, la specificità dei compiti assegnati ai seimila dipendenti delle Province, «perché gli enti intermedi non siano trasformati in stipendifici», e il decentramento delle funzioni dalla Regione ai nuovi Liberi consorzi dei comuni, per rafforzarne le competenze.
«Noi non siamo contrari alla riforma della Pubblica amministrazione, purché sia seria e non fatta sulla pelle dei cittadini e dei lavoratori – dice Badami -. Alla politica chiediamo senso di responsabilità, il via libera alla legge e la garanzia dei servizi. Qualcuno etichetta i dipendenti pubblici come fannulloni, noi, invece, chiediamo di poter continuare ad offrire la nostra attività al servizio delle scuole, della viabilità, dell’assistenza ai disabili». Per Badami quella portata avanti dal governatore è una pessima riforma. «Credo sia sotto gli occhi di tutti – dice –: Crocetta ha fatto la rivoluzione della pubblica amministrazione, ma in negativo. Invece di debellare il malaffare, ha distrutto tutto, senza ricostruire e a scapito dei cittadini e dei lavoratori, che si sentono sempre più inutili».
Così stretti nella morsa del Governo nazionale, che non intende recedere sui tagli, e dell’Esecutivo regionale, che non riesce a condurre in porto la riforma, i dipendenti hanno deciso di scendere in piazza. Una grande manifestazione regionale unitaria, proclamata da Fp Cgil, Cisl Fp, Uil Fpl e dall’autonomo Csa, insieme al coordinamento delle Rsu di tutte le Province, per dare un segnale «anche ai sordi». Stamani per le strade di Palermo «migliaia di lavoratori in sciopero difenderanno i loro diritti e i servizi da garantire ai cittadini» dice il segretario regionale della Fp Cgil Sicilia, Enzo Abbinanti. In città arriveranno 25 pullman. L’appuntamento è alle 11 a piazza Marina, da cui il corteo partirà, snodandosi lungo corso Vittorio Emanuele, per concludersi davanti a Palazzo dei Normanni, sede dell’Assemblea regionale siciliana.
Nella grande piazza della politica siciliana si terranno i comizi dei rappresentanti sindacali regionali. E subito dopo, alle 13.30, nella Sala Rossa di Palazzo dei Normanni, è in programma l’incontro tra una delegazione dei vertici delle organizzazioni dei lavoratori, il presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone, e i capigruppo. «L’approvazione della riforma – afferma il numero uno di Sala d’Ercole – è ineludibile, altrimenti si sciolga il Parlamento e si torni al voto». All’assessore Leotta, poco meno di un mese, i sindacati avevano chiesto l’istituzione di un’unità di crisi, di cui ancora non c’è traccia.
L’appello che arriva adesso dalle parti sociali è chiaro. «La politica la smetta di litigare sulla pelle dei dipendenti. Faccia presto» dice il segretario della Cisl, Mimmo Milazzo. L’orizzonte temporale è quello di luglio, prima della pausa estiva. «Governo e Ars, correnti di partito e vertici istituzionali trovino un’intesa – aggiunge -. Le beghe politiche non portano da nessuna parte». In bilico c’è il futuro di seimila persone in tutta la Sicilia. «Se non arriva la legge, già a settembre i precari delle ex Province potrebbero trovarsi con la lettera di licenziamento in tasca – denuncia Gigi Caracausi, segretario della Fp Cisl Sicilia -. I dipendenti in organico a loro volta scivolerebbero nella mobilità che, come si sa, è l’anticamera della perdita del lavoro. Occorre tutelare lavoratori e servizi». Per lui il ddl Cracolici era «una buona legge da cui partire. Governo e Parlamento trovino l’intesa in Aula, delle beghe politiche non ci interessa nulla. Occorre senso di responsabilità».
A preoccupare i sindacati, oltre alla riforma siciliana ancora in alto mare, sono i tagli di risorse previsti nella legge di stabilità. «Alle Province verrà sottratto un miliardo solo per quest’anno e una cifra doppia nei prossimi due anni – dice Filippo Romeo, segretario di Fp Cgil Palermo –. Questo, insieme all’inerzia del governo regionale sulla riforma, determineranno il probabile dissesto degli enti». Un dissesto che Fp Cgil definisce «di Stato». Per la Cisl il fronte caldo resta quello dei lavoratori. «La guerra tra partiti e dentro i partiti ci porta nel baratro sociale», conclude il segretario Cisl.
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