Nessun passo in avanti, semmai l’ennesimo tentativo di non voler tenere conto dell’elefante in salotto. Nei giorni scorsi, l’annuncio di un nuovo disegno di legge in materia di sostegno alla filiera agro-industriale della cannabis sativa ha riportato l’attenzione su uno temi che l’anno scorso hanno maggiormente fatto discutere. Tra i sequestri negli shop sorti in tutta Italia negli ultimi anni – seguiti a uno specifico pronunciamento della Cassazione – e i pronunciamenti dei tribunali che nella quasi totalità dei casi hanno dato ragione ai commercianti. Contraddizioni che si situano tra le pieghe di una legge – la 242 del 2016 – figlia di compromessi. Ancor più che tra le parti politiche, con la narrazione che negli ultimi decenni ha visto la cannabis, nella sua totalità, come una una pianta drogante. Senza eccezioni di sorta e a dispetto delle evidenze provenienti dal mondo scientifico.
L’ultimo a farsi avanti con una proposta di legge è stato Giorgio Assenza. Nella relazione introduttiva ill deputato ragusano di Diventerà Bellissima ricorda come lo sviluppo della filiera della cannabis «risulta allo stato tuttora frenato da alcune incertezze interpretative a livello nazionale della legge 242/2016 che stanno limitando gli investimenti da parte di soggetti che già si sono dimostrati disponibili ad investire cospicue risorse economico-finanziarie nella Regione Siciliana». A riguardo Assenza cita delle stime per il prossimo futuro che parlano della possibilità di avere diecimila ettari coltivati a cannabis e un giro economico da un miliardo di euro. Dei quali cento milioni nel settore agricolo, venti nella bioedilizia, cento nel settore alimentare e quasi ottocento nell’industria farmaceutica e cosmetica.
Le misure che Assenza vuole sottoporre all’Ars hanno registrato la soddisfazione di Canapar, multinazionale canadese che ha deciso di puntare sulla Sicilia per investire nel settore della trasformazione a fini industriali ma che, davanti alle incertezze degli ultimi dodici mesi, non ha escluso di potersi rivolgere all’estero per l’accaparramento della materia prima. Decisamente più tiepida, invece, sembra essere la reazione dei produttori agricoli di cannabis. Quelli che ogni giorno stanno sui campi, con la consapevolezza che la pianta che coltivano suscita ancora molti sospetti. Dal rischio di superare inavvertitamente i livelli di Thc – il principio attivo che produce effetti psicotropi – al sapere che non è facile portare avanti un’azienda quando le leggi rimangono ambigue. «Parlare di cannabis sativa, sorvolando per l’ennesima volta sul tema delle infiorescenze, non fa bene a chi vuole lavorare onestamente ma con un minimo di serenità», spiega a MeridioNews Sanaz Alishahi Ghomi, che gestisce un’azienda agricola nel Siracusano.
Il riferimento va al fatto che l’intero disegno di legge presentato da Assenza non si sofferma sulla questione più delicata del dibattito sulla cannabis: cosa fare dei fiori, ovvero della parte della pianta utilizzata per fini ludici. «Non si parla di droga, perché i livelli di Thc sono estremamente inferiori a quelli della marijuana – continua la produttrice -. Il problema sta nel fatto che il parlamento ha varato una norma dove non si menziona la commercializzazione delle infiorescenze, salvo però specificare che l’intera pianta va valorizzata e con essa la filiera che la tratta. Ma se un fiore proviene da una pianta legale e non ha effetti psicotropi perché non dovrebbe poter esser venduto?».
Nel ddl Assenza, cose che non vanno, ce ne sarebbero molte. «Il testo è totalmente appiattito sulla parte della lavorazione industriale, mentre non si fa cenno al commercio al dettaglio e a quanti in questi anni hanno investito risorse per aprire gli shop», prosegue Alshahi Ghomi. Secondo la quale, anche l’attenzione prestata al comparto agricolo non è delle migliori. «Ci sono due cose che non ci convincono per nulla. La prima – spiega – è la necessità di autodenunciarsi dai carabinieri. Che senso ha, se si parla di piante che la legge dichiara legali? La seconda invece riguarda la necessità di esibire un contratto con il soggetto a cui si conferisce la materia prima. Non è un dettaglio da poco – sottolinea la produttrice – perché può portare a una riduzione della libertà degli agricoltori di contrattare il prezzo della cessione, valutando di volta in volta gli acquirenti».
L’annuncio del nuovo disegno di legge ha portato il Movimento 5 stelle a ricordare che all’Ars da tempo c’è anche un’altra proposta che attende di essere discussa. «Il testo dei cinquestelle è meno restrittivo e cita il commercio delle infiorescenze destinate al florovivaismo, ma resta lontano dal soddisfare le necessità del nostro settore – va avanti la produttrice -. La politica, ai livelli più alti, dovrebbe cercare di fare chiarezza su una materia che è stata ideologizzata mentre per chi ci ha realmente a che fare non è altro che il settore in cui ha scelto di impegnarsi. E non è semplice farlo quando – continua Alishahi Ghomi – davanti ai giudici si dibatte sulla possibilità irreale per cui, in linea di principio, comprando mille euro di infiorescenze di cannabis sativa e fumandola tutta in una volta, si potrebbe ottenere lo stesso effetto garantito da una spesa di dieci euro in una piazza di spaccio gestita dalla criminalità. Continuando a mescolare due mondi che non hanno nulla in comune tra loro, non si fa che danneggiare – conclude – chi vuole lavorare in maniera onesta».
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