Ha una camera in affitto lei, una finestra al quarto piano sulla città. Chi scrive non è nata a Catania, non c’è nemmeno cresciuta, non l’ha vista cambiare negli anni. L’ha conosciuta in pieno dissesto, finanziario e non, e forse è proprio questo “ravvicinato distacco” a mantener viva in lei la fiducia. Come giocare al Lotto senza vincita, così scommettere sul cambiamento. Ma a sognare, si sa, ci si ritrova nei guai e la vincita non sempre la si tocca con mano. Lei, non si direbbe, ma è testarda e, piena di quella speranza che alcuni chiamano incoscienza, altri coraggio, continua a tenersi stretta questa voglia di fare, di “provare a provare”.
Giovane e sconosciuta in una città che a lei tanto sconosciuta non è, se le chiedi cosa vuol fare nella vita, ti risponde: «quello che faccio adesso, scrivere». Ma coltivare desideri e speranze in una città dove è difficile immaginare un futuro, ancora più complicato provare costruirlo, non è affatto facile. Eppure, in quella stessa città, dove le cose che non vanno fa fatica a contarle ma quelle belle le rimangono nel cuore, ha scoperto l’amore per il luogo in cui vive, la passione per un progetto che la lega al territorio. E’ Step1 (magazine online della facoltà di Lingue) a ricordarle ogni giorno cosa vuol dire cambiamento: il tuo, il mio, il nostro impegno per un progetto. Nulla di straordinario, nessuna formula magica né rivoluzionario andar controcorrente ma essere corrente, corrente informazione.
Un osservatorio privilegiato il suo, il quarto piano di un palazzone in centro dove, dalla sua camera, scorge ogni giorno il porto da un lato, l’Etna dall’altro. Lei non è catanese ma Catania, sì, è la sua città. Le piace pensare che il vulcano vegli su di lei tanto quanto sui “figghi ill’Etna” mentre, indisturbato, il mare la osserva da non troppo lontano. La critica senza ripudiarla questa “patria etnea” e si domanda quanto possa accogliere il suo sogno, cullarlo e farlo crescere, diventare realtà. E’ proprio a questo punto della storia che, un pensiero all’oggi, uno al domani, Tonino Milite…
Bisogna
parlare
a bassa voce,
c’è sempre
una metà
del pianeta
che dorme.
Ed è qui l’inghippo: lamentarsi all’orecchio altrui, moderare il tono per non svegliare quella metà. Catania dorme un sonno lungo anni e anni di silenzio. Lungi da lei montar polemica, di buona lena, raccoglie il suo giovane e sfrontato senno di poi e guarda a quanti puntano i piedi e non ci stanno, perché ci sono e sono a Catania. C’è ancora metà del Paese che dorme ed una città intera da recuperare, la mia, la tua che leggi. Ma drizzare la schiena e montare in groppa all’elefante sarebbe davvero possibile se solo ritrovassimo quella fiducia, quella speranza che sa di coraggio o d’incoscienza che dir si voglia.
Pensare in termini di innovazione, pensare una città più competitiva rivestendo Catania, i catanesi di nuove intenzioni. Più facile a dirsi che a farsi ma l’educazione, le dicono, non la si acquisisce per divina virtù piuttosto deve essere impartita. Allora partiamo da questo. Immaginiamo, ad esempio, una Catania pulita. Raccolta differenziata porta a porta, perché no? Abituare i cittadini ad un nuovo modus vivendi, educare i catanesi a vivere Catania. Non sarebbe male partire da questo. Eliminare tutti i cassonetti in città, poco alla volta, quartiere per quartiere, e mettere i catanesi di fronte al cambiamento. Terapia d’urto la chiamano, tutt’altro che facile, eppure in molti comuni già si riesce. Perché non qua? Catania sa raccogliere le sfide, non solo quelle calcistiche. Recuperare coscienza partendo dal basso, insegnando ai cittadini l’amore per la propria città, per una Catania che non sia solo “viva a santuzza” ma quanto di meglio può offrire. E ritrovare voce, voce per confrontarsi, proporre, denunciare, informare, voce per cambiare.
E per quanti dicono di averci già provato, per quanti pensano non ne valga la pena, ci sarà almeno uno che non molla, che scommette sul Lotto pur senza vincita. Sono i tutor impegnati nei centri sociali di Iqbal Masih e Talità Kum che lavorano per il recupero giovanile a Librino, sono i catanesi di Addio pizzo che ogni giorno dicono no al racket locale, sono i giovani della Periferica, dell’Isola Possibile, di Step1 che credono ancora nell’informazione libera a Catania e tanti, tanti altri ancora. Sono volontari, sono appassionati, hanno fiducia nel cambiamento e lo costruiscono poco alla volta. Non giocano per vincere loro, ma sanno far partita.
Chi scrive non è catanese ma immagina che questo suo sproloquio sia il Sindaco a leggerlo, immagina che finisca tra le mani di chi Catania la amministra ogni giorno, di chi decide dove, come, cosa cambiare. Potrebbe buttar giù una, due, tre, tante proposte ma parte da questa prima: costruiamo il cambiamento sostenendo la Catania che conserva fiducia, che non dorme ma lotta, reagisce, inventa, propone, la Catania indolente e coraggiosa, la Catania che ancora innamora. Cambiare una città in punta di penna. Lei crede sia possibile. Per ora le basta una finestra al quarto piano sulla città, un occhio al mare ed uno al vulcano per sentirsi ‘catanisa’. Arrivare lontano senza far troppi chilometri, però, non sempre è possibile ma questa Catania, bella e dannata, lei non vorrebbe lasciarla. Presto dovrà scegliere se andare, dove andare.
Ha una camera in affitto e immagina, tra qualche anno, una casa tutta sua, magari vicina al mare, magari all’ombra del vulcano, purché abbia una finestra con vista, con vista sul ritorno.
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