Laureati nei call center per poco più di 15 euro al giorno. La normalità, per chi ha avuto a che fare almeno una volta con cuffiette e telefono. Ma è una realtà che ha stupito i grandi media che hanno ripreso con un certo rilievo la notizia che una decina di giorni fa ad Avellino la guardia di finanza ha scovato trecento impiegati irregolari, assunti con un contratto a progetto truffa e pagati 120 euro al mese. Al netto della denuncia delle fiamme gialle, a Catania è l’amara realtà in cui si imbattono molti giovani under 30 in cerca di lavoro.
«Altro che le vecchie mille euro al mese, ad arrivare a quattrocento ci si sente quasi ricchi», racconta Daniela, laureata in Scienze della comunicazione ed ex operatrice telefonica. Non importa quale sia il titolo di studio conseguito o l’esperienza raggiunta, «tutti, prima o poi, passano da un call center», dice. «Ho iniziato a lavorare come operatrice telefonica subito dopo la laurea. Non riuscivo a trovare nessun altro impiego e le uniche offerte di lavoro erano quelle nei call center. Ma per me – continua – non è stata un’esperienza duratura. Lo stipendio era una miseria e riuscivo a pagare a malapena la benzina per andare a lavoro».
Come lei anche Valentina, 23 anni, laureanda alla facoltà di Farmacia, ha lavorato circa sei mesi come operatrice telefonica. «Vendevo pacchetti offerta per una nota compagnia di servizio elettrico. Avevo un contratto a progetto e venivo pagata un fisso di 3,50 euro all’ora a cui andavano sommati i guadagni delle provvigioni. Circa cinque euro per ogni contratto concluso a cui corrispondeva anche un certo numero di punti. Che poi, a fine mese, avrebbero dovuto garantirmi il raggiungimento di un bonus sullo stipendio», ci spiega. «Una sorta di gioco a punti in cui, però, vincere era quasi impossibile. Più punti significava più contratti. E il minimo richiesto per raggiungere il primo bonus era mantenere un’alta media di contratti», racconta. Impiegata per 17 euro al giorno (25 ore settimanali) ma «al netto, non sono mai riuscita a guadagnare più di 380 euro mensili, lavorando cinque ore al giorno, incluso il sabato – dice E ora, che tra meno di un mese mi laureo, devo ammetterlo, sono molto sfiduciata. E seppure penso sia uno dei lavori peggiori che si possano fare, sia a livello remunerativo che di gratificazione, non escludo che potrei tornare a lavorare nello stesso call center», aggiunge. «Là ho incontrato altri laureati. Uno di questi col massimo dei voti in Giurisprudenza, eppure inchiodato a una di quelle postazioni come me».
Un quadro sconfortante a cui si aggiungono le condizioni di lavoro, spesso irregolari o mascherate come tali. «Senza contare lo stress psicologico a cui si va incontro», racconta Valeria, 25 anni, laureata in Lingue. Anche lei, dopo la laurea, ha trovato impiego in un call center dove «per diversi mesi – racconta con ironia ho venduto un sogno, il sogno offerto da un’azienda leader nel settore dei servizi televisivi». Più risoluta lei, ci racconta che lascerà Catania per Berlino: «Ad un anno dalla fine degli studi universitari, non ho intenzione di ritornare a fare l’operatrice telefonica. E’ un mondo assurdo. Sempre sotto pressione, con l’ansia da prestazione che, inevitabilmente, ti incutono facendo leva sul numero dei contratti da raggiungere, sul tempo a disposizione per le telefonate, sull’empatia e il sorriso telefonico alla base di strategie da buon venditore», racconta. «Sottopagati e stressati dei team leader che in sala ci controllavano a vista. E dal momento che questo Paese non sa offrirmi nulla di meglio, lo lascio».
[Foto di charmingman]
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