Calcio Catania, la crisi del club in tre dettagli La sedia con ricamo, il giornale e le bandiere

Le
difficoltà economiche. Il distacco della proprietà. La disillusione del pubblico. Sono i sintomi della crisi del Calcio Catania. A raccontarla, finora, sono stati gli esperti di economia dello sport, il silenzio di Antonino Pulvirenti, la contestazione dei tifosi. Parole, dette o taciute, che prendono forma e consistenza nei dettagli ritratti in tre immagini diverse, tutte scattate allo stadio Massimino: un giornalino dalle pagine sempre più sottili, una poltrona rimasta abbandonata, i gradoni spogliati dalle bandiere.

Il
giornalino del club, distribuito allo stadio, un tempo era fatto per durare: carta patinata, spessa, bianca. C’era chi ne prendeva fino a tre copie: una da usare come cuscino o parasole; la seconda da leggere e conservare; l’ultima da portare al piccolo di casa, che avrebbe staccato il poster del calciatore – che era all’interno – per aggiungerlo alla sua collezione. Ma dopo la retrocessione, e le attese perdite milionarie, le pagine sono state sostituite con economici fogli di quotidiano: carta sottile, riciclata, opaca. Poi è toccato anche alla copertina sparire, insieme al solito poster. «Làssulu», dice a un piccolo tifoso il papà. E finita la partita, se un tempo venivano portati via per ricordo, i giornalini restano ormai quasi tutti abbandonati, sui gradoni o sui sedili, alle scope dei netturbini.

Tra tutti i posti a sedere, sempre allo stadio, da diversi anni ce n’è uno diverso dagli altri. Si trova in
sala stampa: è la poltrona rossazzurra sulla quale si sono accomodati i più celebri allenatori del calcio italiano. E più bella, tecnologica, comoda e costosa delle sedie attorno. Ma è ad altro che deve il suo essere unica e speciale: porta sullo schienale lo scudetto del Calcio Catania, ricamato, non stampato. Che la rende un trono. Finite le interviste, un addetto era incaricato di fare alzare chi c’era seduto su e metterla subito sottochiave. Per la prima volta, qualche gara fa, è rimasta in mezzo a tutte le altre: «Su voi, ta po’ puttari», scherza un custode dello stadio. Abbandonata e vuota, come quella da presidente del club, sulla quale non siede nessuno dalle dimissioni di Pulvirenti: che però è più difficile portare via.

Per un oggetto di culto rossazzurro abbandonato – nello stadio – ce n’è un altro che –
allo stadio – i catanesi non trovano ormai quasi più: le bandiere. Non quelle grandi degli ultras. Ma quelle più piccole, a misura di tifoso. Alcune volte indossate, sulle spalle, come il mantello di un supereroe, ma più spesso sventolate. Storiche o nuovissime, un tempo il Massimino ne era pieno. Pure quando l’aria era densa di tensione, magari per una salvezza da acciuffare all’ultimo istante. Col loro sventolio le bandiere soffiavano via un po’ di paura, augurando fortuna. Oggi, lungo le vie che portano al Massimino, se ne vedono alle ringhiere più di quante non ce ne siano sui gradoni. Loro comunque sventolano, altre non più. Aspettano un vento nuovo, «capaci».

Marco Di Mauro

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