Calatino, fermata faida interna a Cosa Nostra Tre omicidi nella battaglia interna al clan

Nove fermi per mettere fine a una violenta faida interna a Cosa Nostra tra Vizzini e Francofonte. Uomini fedeli al vecchio leader, Michele D’Avola, arrestato nel dicembre del 2012, contro il nuovo – ma già noto – capomafia, Salvatore Navanteri, uscito di prigione dopo una lunga detenzione e convinto a riprendere il controllo del territorio che una volta era sotto l’egemonia del padre. Una battaglia che nell’ultimo anno ha già portato a tre omicidi, un caso di lupara bianca e un tentato omicidio. Proprio quest’ultimo episodio, ai danni dell’emergente Navanteri, ha convinto la Direzione distrettuale antimafia di Catania ad intervenire per evitare ulteriori spargimenti di sangue. E’ scattata così stamattina l’operazione Ciclope, tra Siracusa, Agrigento, Cremona e il capoluogo etneo. Nove i fermati in attesa della convalida degli arresti da parte del Gip. Accusati di associazione mafiosa, tentato omicidio, detenzione e porto abusivo di armi con l’aggravante di aver agito per favorire Cosa Nostra. Si tratta dei pregiudicati Alfio Centocinque, 31 anni, Salvatore Guzzardi, 32 anni, Salvatore Navanteri, 58 anni, Cristian Nazionale, 26 anni, Luciano Nazionale, 23 anni, Michele Ponte, 41 anni e Tomasso Vito Vaina, 48 anni. Insieme a loro una donna, Luisa Regazzoli, 54 anni, moglie di Centocinque, e Antonino Alfieri, 55 anni.

«Siamo stati costretti a trasformare le richieste di custodia cautelare in fermi per la situazione preoccupante che si è venuta a creare. C’era il rischio di nuovi omicidi e di fughe», spiega il procuratore capo Giovanni Salvi, accanto al nuovo comandante provinciale dei carabinieri, il colonnello Alessandro Casarsa, da qualche giorno a Catania. Il tentato omicidio contestato è quello avvenuto lo scorso 8 agosto ai danni di Navanteri, raggiunto ad un occhio da un colpo di fucile sparato, secondo la ricostruzione degli investigatori, dagli indagati Guzzardi e Luciano Nazionale. Questi ultimi, rimasti fedeli a D’Avola anche dopo il suo arresto per associazione a delinquere finalizzata allo spaccio e detenzione di armi, non avevano accettato la scalata al vertice del gruppo mafioso da parte di Navanteri.

Senza D’Avola, dal dicembre 2012 sono seguiti diversi episodi riconducibili alla faida interna: a cominciare dai tre omicidi nelle campagne del Calatino, susseguitisi in appena dieci giorni nel marzo scorso. Si trattava di Michele Ragusa, pastore residente a Vizzini, scomparso a novembre e ritrovato carbonizzato nelle campagne di Mineo; l’allevatore Signorino Foti, ucciso a colpi di fucile mentre si trovava insieme al figlio sulla sua jeep a Vizzini e Gregorio Busacca, anche lui pastore, freddato in contrada Guzzà il 13 marzo. Fino alla scomparsa di Michele Coppoletta, il 6 luglio. «Un probabile caso di lupara bianca», secondo Raffaella Vinciguerra, il sostituto procuratore che ha seguito le indagini insieme al collega Andrea Ursino. «Non siamo ancora in grado di attribuire questi omicidi a singoli soggetti, ma fanno sicuramente parte della battaglia interna ai due gruppi», sottolinea Salvi.

Dalle intercettazioni emerge che Navanteri e i suoi fedelissimi erano pronti a dare un’esemplare risposta armata a chi aveva osato ribellarsi alla sua egemonia. Nel gruppo rivestivano un ruolo di primo piano Vito Vaina e Antonino Alfieri, luogotenenti di Navanteri, mentre Alfio Centocinque era il gestore della cassa comune. Durante le perquisizioni sono stati sequestrati dieci chilogrammi di marijuana in panetti, una pistola con matricola abrasa, radio trasmittenti e 7mila euro in contanti.

Salvo Catalano

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