«Lì, non avrà mai niente, perde lo scecco (l’asino, ndr) con tutte le carrube. Il paese è sempre il paese, ma come non gli interessa? A lui interessa il paese». A Mario Pace, storico componente del clan Cappello che è tra le 31 persone arrestate nell’ambito dell’operazione Isola Bella – il paese di Calatabiano interessa. Droga, estorsioni, usura e anche la gestione di un parcheggio.
Un territorio di poco più di 26 chilometri quadrati che, nella spartizione mafiosa, risulta essere una intersezione tra le province di Catania e Messina, Calatabiano è stato la «roccaforte storica» del clan Cintorino della famiglia Cappello. Detenuto all’ergastolo, Pace avrebbe continuato a gestire il clan dal carcere e a tenere i contatti sul territorio durante i permessi premio. Un interesse particolare sarebbe stato riservato a Calatabiano, forse dovuto anche a legami affettivi. «Là hanno ammazzato a suo fratello (Antonio Pace, assassinato durante la guerra di mafia nell’area jonico-etnea dei primi anni Novanta, ndr)», dicono nel proseguo della conversazione Gaetano Di Bella (braccio destro di Pace) e Pasqualino Bonaccorsi, detto Lino (altro referente dello stesso gruppo).
Le indagini, che hanno portato a scoprire come i clan Cintorino-Cappello e Santapaola-Ercolano si siano spartiti l’Isola Bella di Taormina, sono partite da numerose segnalazioni in merito alla presunta contiguità di un imprenditore di Calatabiano con esponenti della criminalità locale. In particolare, le telecamere di videosorveglianza di un esercizio commerciale hanno ripreso diversi incontri tra Carmelo Porto, detto Melo (referente del gruppo Cintorino, di cui sarebbe stato reggente durante la detenzione dello storico esponente Sebastiano Trovato) e l’imprenditore Salvatore Antonino Benedetto (indagato ma non arrestato).
Il nome dell’imprenditore torna in un episodio che riguarda la gestione del parcheggio a San Marco, nel litorale marino di Calabiano. È a lui che l’allora ispettore capo di polizia Francesco Franco (anche lui indagato ma non arrestato), nel giugno del 2014, avrebbe rivelato informazioni che sarebbero dovute rimanere segrete in merito a quanti e quali fossero i soggetti che avevano presentato offerte per la gara pubblica indetta dal Comune di Calatabiano per la gestione del parcheggio. Insomma, Franco avrebbe abusato della propria posizione rivelando un segreto d’ufficio all’imprenditore Benedetto.
È un’altra vicenda relativa sempre allo stesso parcheggio a dimostrare «il carattere mafioso del sodalizio di riferimento di Porto», come scrivono gli inquirenti, nel territorio di Calatabiano. Nel 2014, l’area per la sosta delle macchine durante la stagione estiva nella zona balneare di San Marco viene affidata dall’amministrazione comunale – con una regolare gara – a una cooperativa. La rappresentante legale, a luglio, denuncia ingerenze nello svolgimento del servizio da parte di Porto che non avrebbe esitato a minacciare lei e anche i dipendenti della cooperativa pur di favorire l’attività di un parcheggio privato a scapito di quello gestito dalla cooperativa.
La richiesta di Porto sarebbe stata di «non disturbare il vicino parcheggio privato perché “se no nessuno avrebbe lavorato”». Inoltre, Porto avrebbe intimato ad alcune dipendenti di non fermare le macchine ma di indirizzarle al suo parcheggio. «Una mia dipendente – ha denunciato la rappresentante legale – mi ribadiva che per un mese di attività non valeva la pena di mettersi contro queste pericolose persone». Segno della pervasività e della notorietà di Porto nel territorio, sostengono gli investigatori. Anche altre dipendenti della cooperativa hanno confermato di essere state aggredite verbalmente da Porto, tanto che una di loro – residente a Calatabiano – avrebbe preferito licenziarsi per non avere problemi. È nello stesso periodo che la responsabile della conduzione del servizio di parcheggio sporge denuncia contro ignoti per danneggiamenti di attrezzature in uso alla cooperativa.
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