Burkini, le donne islamiche in Sicilia contro i divieti «Faccio il bagno col velo, la libertà è sacra per tutti»

«La cultura cambia, la religione no. E io non cambio in base a dove vado». Zeanab è una ragazza somala di 21 anni e da circa due vive in Sicilia, in un paese del Catanese. Lei, sul divieto di indossare il burkini in spiaggia – imposto in alcune importanti città balneari francesi, come Cannes – ha le idee chiare. «Sono musulmana praticante e non metterò mai il costume normale – spiega -. Faccio il bagno in pantaloncini, maglietta e velo, perché la nostra religione dice che essere nudi davanti agli altri non è una cosa buona. Per me non è una mancanza di libertà, né un’imposizione. E ritengo che tutte le donne musulmane debbano essere libere di scegliere cosa indossare, nessuno Stato può imporre una cosa simile, né in un senso, né in un altro, perché la libertà è sacra». 

Da diversi giorni il dibattito, esploso in Francia, ha contagiato molti altri Paesi. D’altronde il tema burkini non è nuovo: questo costume che copre il corpo e la testa esiste dal 2004, ideato da un’australiana di origini libanesi, Aheda Zanetti, che ha anche creato una società per commercializzare l’indumento, diffusosi rapidamente nel mondo. Quest’estate il sindaco di Cannes lo ha vietato per motivi di ordine pubblico. «Un costume da bagno che richiama in maniera ostensibile un’appartenenza religiosa, quando la Francia e i luoghi di culto religioso sono attualmente bersaglio di attentati terroristici, è tale da creare pericoli per l’ordine pubblico che è necessario evitare», si legge nell’ordinanza. Altre località francesi hanno seguito l’esempio. 

«La Francia vive un problema serio, frutto di decine di anni in cui una parte importante della società, quella islamica, è stata esclusa – commenta l’imam di Catania, Kheit Abdelhafid -. Fare polemica su tutto quello che è diverso significa mettere a rischio i valori dell’Occidente. Stiamo tornando a una dittatura, rinunciando a tante conquiste. Così come i nudisti hanno il diritto di fare il bagno senza il costume, anche chi si vuole coprire dovrebbe averne il diritto». Gli fa eco Adham Nazareth, presidente della consulta delle culture di Palermo. «È ridicolo che il dibattito in Occidente sia a questo livello – commenta – il burka è un’altra cosa, perché copre il volto e in alcuni Paesi arabi è pure vietato. Non può essere una legge a dire a una donna come vestirsi. Questo dibattito non lo capisco: nel mondo arabo negli anni ’60 le donne andavano a mare in bikini, ora ci vanno in burkini, è così». Quindi un plauso alla risposta del ministro dell’Interno italiano, Angelino Alfano: «Ha fatto bene a dire che è un dibattito che non ci appartiene – sottolinea Nazareth -. In Europa il popolo non conosce nulla della società islamica, che al suo interno è molto variegata e può capitare che perfino nella stessa famiglia due sorelle decidano di andare a mare una col burkini e l’altra col bikini».

Anche Aktar Sumi Dalia vive a Palermo, dove è arrivata 18 anni fa dal Bangladesh. «Fino al 2013 mi sono vestita come ho voluto io – racconta – ho sempre camminato con maglietta e jeans, da quando mi sono sposata indosso il velo perché mio marito è molto credente, ma non mi ha mai obbligato a portarlo. Lo stesso vale per il burkini che è una mia scelta, di rispetto nei suoi confronti. Le donne musulmane devono essere libere e non obbligate da nessuno, devono essere pulite dentro, neanche il Corano dice di essere coperte fino ai piedi». 

Chi, come la 21enne Zeanab, sceglie di andare al mare coperta, ormai ha fatto l’abitudine alla curiosità degli altri bagnanti. «Faccio spesso il bagno a Catania, Riposto o Giardini – conclude – molti mi fermano per chiedermi perché mi vesto così, io lo spiego tranquillamente. Ma non imporrei mai la mia scelta a nessuno, neanche a mia figlia. Sarà lei, a 18 anni, a decidere come farsi il bagno». 

Salvo Catalano

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