In un anno i casi di brucellosi in provincia di Messina si sono quadruplicati: nel 2015 erano stati 33, alla fine del 2016 se ne sono contati 136. «E si tratta soltanto di quelli che si sono rivolti agli ospedali, non sapremo mai tutti quelli che sono stati curati solo dai medici di base». Salvatore Bruno, primario del reparto di Malattie infettive all’ospedale di Barcellona sino alla fine del 2015, è chiaro: «Nell’ultimo decennio i casi erano fortemente diminuiti, ora assistiamo a questo improvviso boom». In pratica si è tornati ai livelli di fine anni ’90. Perché?
Una parziale risposta potrebbe stare in due fattori: da un lato la particolarità del territorio, dove si pratica l’allevamento allo stato brado con molti ovini e bovini in contatto con animali selvatici, come sottolineato dall’Istituto zooprofilattico siciliano. Variabile che però non è certo cambiata nell’ultimo anno. A questo si aggiunge il mercato clandestino del bestiame scoperchiato dalle indagini della Procura di Messina. Un business che parte dal furto di decine di migliaia di capi e arriva sulla nostra tavola, grazie alla connivenza di chi dovrebbe controllare, a cominciare dai veterinari, come dimostrato dall’indagine condotta dalla polizia di Sant’Agata di Militello. Secondo i dati della commissione d’indagine sulla macellazione clandestina della carne istituita dalla Regione, solo nella provincia di Messina, nel 2015-2016, risultano smarriti quasi 30mila ovini e seimila bovini. Animali al di fuori di ogni controllo.
«Chiariamo un concetto: la brucellosi non si trasmette da uomo a uomo e nemmeno attraverso l’assunzione della carne, ma dei prodotti caseari, soprattutto della ricotta – spiega il dottor Bruno – è diffusa tra ovini e bovini, in misura minore anche tra i suini e le categorie più a rischio sono quelle a contatto con questi animali: gestori di mattatoi, allevatori, veterinari». Un problema certamente non isolato alle aree montane dei Nebrodi, come si potrebbe supporre. Tutt’altro: dei 136 casi registrati in provincia di Messina, ben 130 riguardano persone residenti nella città di Messina. Ha suscitato clamore il caso del presepe vivente di Tipoldo, un piccolo paese collinare che sorge nella vallata di Larderia, dove, lo scorso gennaio, furono contagiate una cinquantina di persone e tutte dichiararono di aver assaggiato la ricotta. Altra forma di contagio può avvenire tramite le verdure crude, a causa di terreni inquinati o per acqua di irrigazione inquinata.
La brucellosi si manifesta con febbre, sia alta che bassa, mal di testa, sudorazione eccessiva. Sintomi che spesso vengono confusi con altre patologie e non curati subito come si dovrebbe, cioè con due specifici antibiotici da assumere per 45 giorni. Ma i problemi aumentano nel caso in cui l’infezione si localizza in alcune parti del corpo. «Può colpire apparati genitali, strutture osteo-articolari, articolazioni della colonna vertebrale, le anche o i femori – sottolinea l’ex primario -, o ancora il cuore e in questo caso è necessario l’intervento di sostituzione delle valvole». Ultimo grado di rischio è quello di resistenza agli antibiotici, ipotesi non rara, come già successo a commerciante del Mmessinese che ha dovuto lottare per diversi mesi con la malattia, visto che le normali cure non funzionavano. «I ceppi resistenti – spiega Bruno – possono derivare dall’uso incongruo di mangimi trattati con antibiotici, usati per far crescere meglio gli animali, così noi finiamo per ingerire carne e antibiotici».
Una situazione che rende la Sicilia unica in negativo in Italia, al punto che ieri il sindacato Uil-Fpl di Messina ha inviato una nota, indirizzata fra gli altri al ministro per la Salute pubblica, per chiedere il commissariamento della Regione, perché incapace di debellare le malattie infettive nel bestiame. «Strumentalmente – denuncia il sindacato – sono state fornite alla popolazione informazioni ingannevoli e, al contempo, vengono assunti dai vertici dell’Asp provvedimenti privi di ogni logica sanitaria. La normativa prevede la nomina di un commissario ad acta per le regioni che non abbiano provveduto all’eradicazione delle malattie infettive».
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