In principio era il Totonero. Che la mafia arrotondasse il proprio racket fatto di droga ed estorsioni con il gioco d’azzardo non è una novità. La diffusione capillare del mondo delle scommesse parallele nei quartieri di Palermo, sotto la supervisione dei mandamenti, che se ne spartiscono i proventi, dura da tempo immemore. E in questo anche il mandamento di Brancaccio non faceva eccezione, gestendo un suo gioco del Lotto abusivo, che però, in alcuni casi, sembrava offrire ai picciotti più grattacapi che altro. Lo aveva capito Pietro Tagliavia, arrestato lo scorso 19 luglio nel blitz che ha decapitato le famiglie della parte Est della città con l’accusa di essere il reggente del mandamento. Per questo, stando a quanto rivelato dalle intercettazioni, era intenzionato a chiamarsi fuori dal business.
Il problema? Anzitutto la matematica. E poi ci sono pur sempre le vincite. «E io ora ho fatto un conto matematico … guarda, non c’è trucco non c’è inganno … tre punto trenta … e coincide come dico io … guarda … guarda. Io sono regolare, tre punto trenta il primo, più zero virgola venti centesimi, più tre punto trenta, più zero virgola venti, più tre punto trenta, più zero virgola venti, più tre punto trenta, più zero virgola venti, più tre punto trenta, più zero virgola venti, più tre punto trenta, più zero virgola venti, più quattro, più due, più uno, più uno, più due punto venti, più … trentuno e venti». A dare i numeri è Giovanni Lucchese, Johnny, come lo chiamavano in confidenza. Secondo quanto emerso dalle indagini sarebbe stato lui a gestire la sezione giochi per conto di Tagliavia. Johnny, oltre a essere il fratello della moglie di Pietro Tagliavia, è il figlio di Antonino Lucchese, uomo d’onore di Ciaculli, sempre all’interno del mandamento di Brancaccio, rinchiuso nel carcere di Parma, dove sta scontando l’ergastolo per gli omicidi del vicequestore Ninni Cassarà e dell’agente Roberto Antiochia.
E proprio il detenuto Lucchese senior sarebbe stato uno dei soci di maggioranza del Lotto clandestino, di cui pare fosse grande esperto, tanto da avere lasciato al figlio l’eredità di anni di attività sul campo, amministrare i soldi raccolti dai galoppini in giro per il territorio controllato e calcolare e mettere in pagamento le eventuali vincite. Ma la mancanza del vecchio padrino si fa sentire quando sorgono i primi screzi tra Lucchese e Tagliavia, poco incline nel coprire con la propria parte di denaro le perdite e che non aveva nemmeno versato la propria quota associativa. «Niè Totù – si sfogava Johnny Lucchese con il quarto presunto socio, Salvatore Puleo – io stavolta proprio sono… sono arrivato proprio. Quando c’era mio padre ne parlò con lui. È da ventidue, ventitré anni che facciamo, che abbiamo sti cusuzze. Mio padre, ti riporto il paragone, dico non è che è da un anno o sei mesi, è da una vita». E ancora «Ci sono centosettemila euro però le cose sempre fatte alla carlona, un pochettino di confusione… ora, lui si è preso questi soldi? Non è che lui qua ha uscito soldi iniziali… a mio padre gliel’ho detto».
«Bedda matri... di nuovo la festa ci hanno fatto…» sospirava Lucchese a ridosso del Natale 2014 dopo una vincita da parte di un giocatore. Una riunione turbolenta, quella intercettata dagli uomini di polizia e guardia di finanza, dove escono fuori tutte le perdite che l’organizzazione ha subito a causa di errori di calcolo, che spesso venivano ripagati di tasca da parte di chi quei conti li aveva fatti, ma non senza attirarsi contro le ire di Johnny Lucchese: «Scritta tu, che cazzo vuoi? Ma come stiamo giocando? L’altra volta duemila e cinquecento euro, che cazzo è? Voi altri sbagliate e io pago?». Ed era anche frequente che il fondocassa si azzerasse dopo uno «tsunami», una perdita, come quando sulla ruota di Palermo è uscito il 53, numero che da molto tempo non veniva estratto. «Ora che c’è da uscire soldi non ne vogliono uscire, che discorsi sono! – dice sempre Johnny a Puleo, rimarcando ancora una volta le incomprensioni con il cognato e minacciando di mettersi a gestire i giochi senza più soci – Allora me lo tengo da solo, mica ho paura di tenerlo da solo! C’era un ritardatario, non me lo scordo più, il cinquantatre a Palermo, il cinquantatre a Palermo. Perché i numeri sono così, in un mese puoi perdere centomila. Perdemmo settanta, ottantamila euro e la cassa si azzerò. Mi hanno lasciato solo come un cretino, solo io non capivo niente di quello che dovevo fare, che non dovevo fare … solo».
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