Avere il posto fisso tra i campi. Un’ipotesi tutt’altro che irreale, seppure pressoché inutilizzata. Il mondo del lavoro ha nell’agricoltura uno dei settori in cui il precariato è maggiormente radicato, al punto da identificarsi quasi totalmente con la forza lavoro. Secondo i dati in possesso di Flai Cgil, in Sicilia i braccianti sono circa 135mila, dei quali una larghissima parte ricorre all’istituto della disoccupazione, ovvero l’indennità a cui hanno diritto quei lavoratori del comparto che prestano la propria opera soltanto per una parte dell’anno. I cosiddetti stagionali: «Considerato che per fare richiesta bisogna essere iscritti da due anni agli elenchi – dichiara il segretario regionale del sindacato Alfio Mannino – credo che i richiedenti siano tra 115 e i 120mila. Contratto a tempo indeterminato? Pochissimi, non più di duemila».
La legge quantifica la disoccupazione nel 40 per cento della retribuzione di riferimento e per un numero di giornate pari a quelle lavorate in un anno, meno quelle svolte come dipendente o in proprio e quelle indennizzate in altro modo, per esempio come malattia. Così facendo, per ottenere il massimo dell’indennità bisogna che il lavoratore riesca a lavorare per un monte giornate che si avvicini alle 180 annuali. Un traguardo che per la maggior parte degli stagionali è fondamentale a garantirsi il miglior trattamento economico possibile. «Lavorare nell’agricoltura significa spesso seguire i cicli della natura e non è così semplice garantirsi un ventaglio di datori di lavoro che riescano a coprire l’intero anno», prosegue Mannino, sottolineando come la disoccupazione rimanga un istituto fondamentale per i braccianti.
Tuttavia, le cronache raccontano anche altre storie. Storie di truffe ai danni dello Stato – con alcuni casi in cui a mostrare interesse per le risorse pubbliche sarebbe anche la criminalità organizzata – e più in generale pratiche che sfruttano le opportunità offerte dalla legge per ottenere entrate indebite. Tra i meccanismi messi in atto sarebbe diffuso il lavoro in nero, oltre le 180 giornate necessarie a raggiungere il massimale, ma anche la compravendita delle giornate, ovvero i casi in cui un bracciante, pur di raggiungere il monte giornate, è disposto a pagare il datore di lavoro per essere inserito tra i braccianti che lavorano, con l’impegno di restituire sotto banco i contributi previdenziali versati all’Inps per quella giornata. «Sono fenomeni che esistono – ammette Mannino -. Noi dal canto nostro cerchiamo sempre di affermare la legalità. E i casi di illeciti non possono mettere in discussione la necessità di mantenere la disoccupazione agricola». Tra i miglioramenti al sistema che potrebbe essere inserite c’è la gestione pubblica delle chiamate: «Una sorta di ufficio di collocamento centralizzato dove iscriversi – spiega il segretario di Flai Cgil -. Oggi infatti il rapporto avviene direttamente tra titolare dell’azienda e bracciante».
Nell’attesa che qualcosa cambi in questa direzione, c’è anche chi ha sperimentato un’altra via: i contratti a tempo indeterminato. Tra loro l’azienda Fratelli Valenziani, che opera tra Lentini e Carlentini, in provincia di Siracusa. «Oggi abbiamo cinque dipendenti che sono regolarmente assunti – dichiara Francesca Valenziani -. Si tratta di persone che, pur cambiando mansione durante l’anno, ci forniscono la loro professionalità durante le quattro stagioni. È chiaro che non sono rapporti di lavoro che possono funzionare in ogni caso ma crediamo siano sottovalutati». All’origine di un uso risicato di questa formula contrattuale ci sarebbero diversi motivi. Non ultimo la diffidenza degli stessi lavoratori. «Molti non sono coscienti dei benefici che si guadagnano», sottolinea Valenziani. Il riferimento va all’insieme di tutele che un rapporto di lavoro a tempo indeterminato garantisce: «È chiaro che lavorare in nero garantisce introiti che possono essere superiori, se si pensa alla loro mancata tassazione, ma oltre a essere chiaramente illegale, si rinuncia ad altri fattori fondamentali». Come le ferie e la malattia pagata, ma anche la possibilità di avere una busta paga. «I nostri dipendenti hanno potuto finalmente accendere un mutuo e comprare una casa», specifica.
Meno ottimista si dichiara Mannino, secondo il quale a giocare un ruolo in questa partita sarebbero anche i datori di lavoro. «La legislazione prevede che anch’essi possano gestire le domande di disoccupazione e, soprattutto, non va dimenticato che il lavoro nero favorisce prima di tutto chi può fare a meno di versare i contributi, garantendosi comunque la prestazione lavorativa», conclude il sindacalista.
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