Da Palermo alla Palestina, per uno scambio di tecniche e pratiche sportive nonché per supportare i giovani affetti dai traumi di guerra. Il pugile Giancarlo Bentivegna è in questi giorni nella Striscia di Gaza per il progetto Boxe contro l’Assedio che, promosso dall’ong Ciss e dalla Palestra Popolare di Palermo, intende usare la boxe come strumento di riscatto sociale, di libertà e di benessere psicofisico. «L’emozione è stata tantissima – dice Giancarlo- un po’ per questa strana aria di formalità, un po’ perché non avevamo ancora realizzato l’importanza del nostro incontro: sono il primo pugile non palestinese ad entrare a Gaza dall’inizio dell’assedio».
Nei mesi scorsi è stata avviata una raccolta fondi per per destinare attrezzature sportive ai piccoli pugili di Gaza. La prima tappa del viaggio è stata comunque a Ramallah, la capitale economica della Palestina: lì Bentivegna ha praticato sessioni di scambio con i ragazzi della palestra El Barrio, tra le migliori della zona. Giorno 6 settembre, dopo parecchie peripezie, il gruppo palermitano è riuscito a entrare a Gaza per portare ai ragazzi palestinesi le attrezzature necessarie e per visitare le palestre della zona, che invece qui sono molto carenti: spazi piccoli, non adeguati, con le attrezzature che nella maggior parte dei casi sono autoprodotte con stoffa, bambagia e scotch. Sui fatiscenti ring di Gaza i pugili hanno solo una decina di paia di guanti che utilizzano a turno mentre i sacchi sono stati costruiti in modo molto rudimentale; non hanno fasce, né paradenti e, a causa dell’occupazione che dura da cinquant’anni, non hanno alcuna libertà di movimento: non è per loro possibile uscire fuori dalla Striscia per confrontarsi con i pugili dalle altre parti del mondo.
Difficoltà che gli stessi palermitani hanno riscontrato in questi giorni. «Ci troviamo in momento particolare della Palestina» racconta Valentina Venditti, responsabile per il Ciss del progetto Boxe contro l’Assedio. «Nei giorni scorsi il presidente Usa Donald Trump ha annunciato il taglio dei circa 300mila dollari che erano stati garantiti all’UNRWA (agenzia Onu per i rifugiati palestinesi) fino al 2017. Questa decisione rappresenta un duro attacco al diritto al ritorno dei profughi sancito dalla risoluzione 194. Questa decisione ha conseguenze devastanti per i rifugiati palestinesi che saranno privati in parte o del tutto dei servizi sociali, educativi, medici rendendo estremamente più precaria la loro già fragile situazione. Per questo motivo sono iniziate manifestazioni di protesta in Libano, Giordania ma anche nella Striscia di Gaza che hanno portato le autorità israeliane a chiudere il valico di Erez. Come risultato non siamo riusciti ad entrare nella Striscia il 5 settembre, il giorno che avevamo fissato, e come noi tanti altri. Il passaggio è stato garantito in entrata solo ai residenti di Gaza che erano fuori per permessi e in uscita solo a due casi di emergenza sanitaria su 400 che erano previsti».
Il blocco al valico di Erez ha fatto perdere tempo prezioso alla spedizione palermitana, soprattutto per quanto riguarda la formazione, e si è riusciti a superarlo solo con molte difficoltà e azioni di coordinamento internazionale. «Nonostante tutto appena entrati abbiamo incontrato il presidente della federazione palestinese di boxe di Gaza e una donna membro del consiglio di amministrazione che gestisce anche la sezione femminile della federazione – racconta ancora Valentina -. L’incontro è stato molto interessante. Ci hanno descritto le difficoltà che incontrano i pugili nella Striscia di Gaza derivanti in gran parte dall’assedio che di fatto rende impossibile la partecipazione degli atleti alle competizioni non solo internazionali ma anche nazionali (ossia con gli altri pugili palestinesi della Cisgiordania). Giancarlo Bentivegna è il primo pugile straniero che incontrano ed è la prima volta che hanno la possibilità di confrontarsi ed allenarsi con un professionista. Il benvenuto è stato emozionante. Il presidente ha ringraziato tutti coloro che hanno reso possibile questo progetto dicendo che vedere persone che vengono a Gaza con tutte le difficoltà senza avere interessi personali ma per supportare lo sport in Palestina gli fa pensare che esiste ancora umanità e solidarietà internazionale».
Attraverso testimonianze raccolte sul posto in questi anni, il Ciss ha avuto modo di valutare quanto la pratica di questo sport sia in grado di infondere coraggio, specie ai più piccoli, contribuendo a combattere le paure. Indagando inoltre sulla storia dello sport in Palestina è emerso come, prima del 1948, la boxe fosse talmente popolare da essere praticata ad alti livelli. Per la ong la boxe è uno sport in grado di infondere coraggio, specie tra i più piccoli, e contribuisce a combattere le paure, in particolar modo in chi ha subìto i traumi dei bombardamenti che, oltre a provocare migliaia di morti, arrecano ai sopravvissuti disturbi del sonno e della memoria, iperattività, difficoltà di concentrazione e uno stato di perenne ansia. Ecco dunque il progetto Boxe contro l’assedio che propone di realizzare uno scambio e una formazione tra pugili italiani e i pugili palestinesi. Con il sogno di organizzare un vero e proprio match nella Striscia di Gaza, uno dei territori più militarizzati al mondo.
Tra un allenamento e un’esibizione anche lo stesso Bentivegna ha avuto modo di affrontare la questione palestinese, ancora irrisolta. «I ragazzi mi hanno parlato delle loro necessità – dice il pugile palermitano – e ci hanno spiegato che, per via della divisione politica tra Fatah e Hamas, dall’autorità palestinese non arriva nessun tipo di supporto, per lo sport così come per tutto il resto, mentre gli israeliani impediscono ai gazawi qualsiasi spostamento. Si trovano quindi in una situazione di totale isolamento e abbandono, non si confrontano con il resto del mondo da più di dieci anni e non hanno accesso alle attrezzature basilari. Ma se c’è una cosa che ho imparato sui palestinesi è che il loro senso di rivalsa alla fine ha la meglio su tutto il resto. Nonostante tutto si impegnano al mille per mille per fare il più possibile: sono riusciti così in passato a far andare in Egitto il grande Ahmed Harara per continuare a farlo combattere, e adesso hanno mandato uno dei loro allenatori a fare un training in Giordania. E, credetemi, far uscire qualcuno da Gaza, non importa quale sia la motivazione, è sempre un’impresa».
L’iniziativa rinnega, ancora una volta, l’idea antiquata che vorrebbe gli sportivi solamente degli atleti, senza idee politiche. Partendo proprio dai racconti dei ragazzi e delle ragazze del posto, in fondo molto simili a quelli che la Palestra Popolare di Palermo allena e forma ogni giorno. «Quello di cui hanno sete – afferma Bentivegna – più di ogni altra cosa, sono le esperienze: gli sportivi qui possono confrontarsi solo fra di loro, perciò anche chi ha più voglia di fare e di crescere, magari vince un campionato locale (organizzato con le mille difficoltà del caso), poi ne vince un altro, e un altro ancora. E poi non può fare altro che fermarsi. Perché guardandosi intorno non vede nulla, nessuna possibilità di crescita e di miglioramento. Ce la metteremo tutta affinché questa non sia l’ultimo incontro, ma bensì l’inizio di un processo di crescita e cooperazione, perché l’autodeterminazione passa anche attraverso lo sport».
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