Un’organizzazione criminale spietata, con una struttura simile a quella mafiosa, per mantenere il controllo del territorio non esitava a ricorrere a pene esemplari, perfino violenze sessuali. Questo il quadro emerso dall’inchiesta che ha portato al fermo nella notte di 17 persone. Tra i traffici principali dell’organizzazione criminale nigeriana, smantellata dalla polizia del capoluogo siciliano, la prostituzione e il traffico di droga. Una sorta di clan, riferiscono i magistrati, operava indisturbata nel cuore di Palermo, , in particolare nel quartiere Ballarò, tra «l’assoluta indifferenza dei residenti, e tollerato dalla mafia». L’organizzazione criminale infatti, esercitava il proprio controllo in maniera limitata solo sui propri membri anche se le attività lucrose erano rivolte principalmente agli italiani. Un equilibrio assai delicato e fragile che, secondo la Procura, sarebbe anche potuto esplodere in conflitti armati, così come già accaduto in altre parti del Paese.
«I destinatari di questa operazione – ha detto il procuratore aggiunto Leonardo Agueci durante la conferenza che si è svolta stamane al palazzo di giustizia di Palermo – non sono mafiosi in senso stretto, ma sono tutti cittadini nigeriani che si sono costituiti attraverso una struttura organizzata: un quadro associativo che in tutto è per tutto è riconducibile a quelli dell’associazione mafiosa». Le indagini si sono sviluppate grazie alla collaborazione di una persona condannata in un precedente processo, un pentito, che ha consentito di fare luce sugli affari dell’organizzazione, individuando un collegamento con il paese d’origine. «Questa associazione è nata in Nigeria, a Benin City, da gruppi studenteschi che hanno acquisito un potere sempre più violento – ha proseguito Agueci -, ramificandosi poi in altri stati dove erano già presenti cittadini nigeriani».
A stupire il fatto che l’associazione criminale agisse indisturbata, senza suscitare la reazione di Cosa nostra. «Ovviamente la mafia era al corrente di questa organizzazione parallela e la tollerava perché subalterna e perché esercitava un controllo solo sui suoi membri – ha detto ancora Agueci -. In alcune intercettazioni, tuttavia, c’erano delle perplessità rispetto alla possibilità che questo si estendesse e, probabilmente, senza il nostro intervento il rischio che potessero sorgere conflitti è assolutamente concreto». Un timore reale confermato anche dell’estrema violenza dimostrata dal clan con un sistema sanzionatorio inflessibile e violento riservato a chi non rispettava le regole.
«In molti casi l’affiliazione è obbligatoria e, per chi si rifiuta, scattano immediatamente le punizioni e persino le vendette per i parenti in Nigeria – ha rivelato il capo della mobile Rodolfo Ruperti -. Noi siamo riusciti a far collaborare una persona, proprio una delle vittime di violenza sessuale». Gli episodi riguardavano indifferentemente donne e uomini, ad alcuni sono state inflitte «pene orribili, anche il sequestro di persona: vittime le donne per avviarle alla prostituzione, il loro business principale». Ma ci sono anche molti casi di violenze sessuali sugli uomini. «Un appartenente al Black Axe nigeriano – ha ricostruito – doveva consegnare un carico di cocaina a Siracusa ma, al suo arrivo, è stato aggredito e derubato. L’uomo non è stato creduto ed è stato punito in maniera selvaggia proprio a Ballarò. Lì avevano luoghi dove si riunivano e dove praticavano anche le violenze. In quel caso l’affiliato per punizione è stato sodomizzato con un bastone di ferro e nell’uretra è stato inserito uno stuzzicadenti».
«Tra i reati contestati c’è principalmente la tratta degli esseri umani – ha aggiunto il questore Guido Longo -, un fenomeno che sta molto a cuore alle forze di polizia e ai magistrati. Da parte delle istituzioni c’è un sforzo enorme per favorire l’integrazione, ma c’è gente più sfortunata che viene cooptata per esser avviata alla prostituzione e allo spaccio, reati odiosi che dobbiamo interrompere assolutamente» ha concluso.
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