Bianco presenta il nuovo logo di Catania L’esperto: «Un orrendo lavoro non pagato»

«È orrendo, e non solo sotto il profilo estetico. Ma anche sotto il profilo meramente tecnico». La valutazione del professionista non lascia spazio a fraintendimenti.  Solo ieri il sindaco di Catania Enzo Bianco presentava alla città, nel corso di una conferenza stampa a Palazzo degli elefanti, il nuovo logo del Comune di Catania. «Da oggi abbiamo un brand che ci permetterà di promuovere la città in tutto il mondo», aveva detto il primo cittadino. Presentando il prodotto realizzato dal creativo Milko Vallone, che lo ha donato gratuitamente alla città. «Questi sono i risultati di quando non si paga il lavoro», afferma oggi Salvo Scibilia, esperto di pubblicità e docente di Sociologia della comunicazione all’università di Catania. 

«Abbiamo deciso di avere un brand che mettesse insieme tutti gli elementi per i quali Catania è nota e che possono aiutarci a promuovere il territorio etneo», spiegava ieri Bianco. «Una sparata troppo grossa», replica Scibilia. «Questo logo non è pittorico, semplice e gestuale come vuole sembrare – afferma il professore – Vorrebbe essere tutte queste cose insieme, invece risulta solo squallido». Non solo non sarebbe equilibrato – «La parte inferiore è pesante, mentre quella superiore è evanescente. Un logo deve essere riproducibile su qualunque supporto, questo non va bene» – ma sarebbe anche, semplicemente, «un’intuizione brutalmente copiata».

Nello specifico, si tratterebbe «di un tentativo di imitazione del più famoso logo di Napoli realizzato da Milton Glaser». Un vero e proprio mostro sacro: «Per intenderci, è l’uomo che ha inventato il logo I love New York con il cuore». E che, anni fa, ha lavorato a un logo per la città di Napoli: «In cui il vulcano, col quale la città campana si identifica, è parte integrante del nome. Nel caso del logo di Catania non si tratta di altro che di una banale stilizzazione. Per fare un esempio più comprensibile: è come mia cugina Ada che somigliava a Marilyn Monroe».

Eppure, quando si tratta di loghi, le critiche sono all’ordine del giorno. «Ma bisogna distinguere la libertà di giudizio dalla capacità di valutazione delle potenzialità di un prodotto. E questo non ne ha». Il giudizio del pubblicitario è nettissimo, e parte dalla considerazione che «un logo è il cuore e l’anima di un brand, ne incarna lo spirito e la vocazione. In un logo si racchiude un’essenza». Quindi come avrebbe dovuto essere quello di Catania? «Non c’è niente di prefissato, perché c’è sempre la quota dell’invenzione che spetta al creativo. Ma il creativo ci deve essere per aspettarsi un risultato che valga la pena testare». Cosa che non avverrebbe con il logo presentato ieri. Parte della colpa del risultato «becero e stupidamente descrizionista», secondo Scibilia, sarebbe del fatto che nessuno è stato pagato per realizzarlo. «Quando viene affidato un lavoro c’è qualcuno, un artista, che si assume delle responsabilità. E c’è qualcuno del Comune che gli dice “Proviamo in questo modo, cambiamo questa cosa”, per ottenere il risultato migliore possibile». Se invece non ci sono pagamenti di mezzo, le cose si complicano: «Le cose regalate non hanno alcun valore. E accettarle non è neanche necessario».

Luisa Santangelo

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