Benito Paolone e la sarda ‘malucanusciuta’

Ieri sera Sala d’Ercole ha commemorato l’onorevole Benito Paolone, figura storica del destra siciliana e, soprattutto, della politica di Catania. Chi scrive ha avuto modo di conoscere questo simpatico personaggio nella seconda metà degli anni ‘80 del secolo passato. Ovviamente all’Assemblea regionale siciliana, della quale Paolone era un autorevole e un po’ bizzarro esponente.
Di quella stagione politica serbo tanti ricordi. Alcuni belli, altri meno belli. Ricordare Paolone significa, in fondo, rivederli passare tutti, velocemente, come in un film. Ecco Gianni Parisi, capogruppo del Pci all’Ars, un dei pochi politici che, in quegli anni, faceva veramente opposizione a quello che veniva chiamato “il sistema di potere della Dc”. Un “sistema di potere” che, a dir la verità, con l’esclusione, appunto, di Parisi, coinvolgeva ed avvolgeva un po’ tutti, da destra a sinistra, compresi gli esponenti del Pci che, in fatto di ipocrisia, battevano perfino certi esponenti dell’Msi destra nazionale.
Paolone, a dir la verità, non aveva l’aria di un maneggione. Anzi. Certe volte, in Aula, quando si lanciava per prendere la parola dovevano ‘placcarlo’, proprio come si fa a rugby (che peraltro era il suo sport preferito) per evitare che gliele cantasse oltre il dovuto. Di quella stagione della destra di Sala d’Ercole ho ricordi precisi. Il serafico Francesco Virga che, se non ricordo male, era il capogruppo. Parlava poco, ma quando parlava, come si dice dalle nostre parti, ‘mpiccicava ruru’.
Ricordo i comunicati stampa dallo stile immaginifico dell’onorevole Vito Cusimano. Al giornale dove lavoravo – il quotidiano L’Ora – non era molto di moda ‘infilare’ nei ‘pezzi’ i comunicati dei “fascistoni”. Ma i comunicati di Cusimano erano troppo divertenti. Spesso, per non far perdere nemmeno un rigo ai lettori, chiedevo più spazio alla mia capo servizio. Che mi rimproverava una mattina sì e l’altra pure (il L’Ora era un quotidiano del pomeriggio e, quindi, il giornale lo facevamo la mattina dalle sei alle undici) dicendomi: “Ma sempre di più vuoi scrivere? sempre, sempre…”. Ma i comunicati di Cusimano erano imperdibili. Ne ricordo uno, in particolare. Fine anni ‘80. Solita baraonda nel governo regionale per via delle ‘faide’ interne alla sinistra Dc. Spunta un comunicato, tecnicamente ineccepibile, sulle ultime ore del Titanic, con l’orchestra che suonava e l’iceberg che si avvicinava… In venti righe descriveva, con qualche anno di anticipo, quello che poi si sarebbe verificato nel mondo della politica.
Poi ricordo il professore Giuseppe Tricoli. Elegante in tutto: nel vestire, nel parlare, nello scrivere. Mai una virgola fuori posto. Ineccepibile. Un aristocratico della politica. Quindi i baffi di Nicola Cristaldi, sempre pugnace e battagliero. E naturalmente Paolone del quale, alla fine, non sto parlando.
Mi rifaccio subito. Concludendo con un episodio del quale non sono stato protagonista perché chiamato, qualche minuto prima, dall’onorevole Franco Piro per il quale collaboravo (il giornale L’Ora aveva chiuso i battenti da qualche anno). Con il mio collega ci eravamo recati a pranzo. All’Ars ci sono – almeno allora era così, oggi non lo so, perché il ‘Palazzo’ lo frequento pochissimo – due ristoranti. Una ‘plebeo’ per i dipendenti e uno ‘nobile’ per i parlamentari.
Ora magari qualcuno si offenderà, mai io ho sempre mangiato bene, anzi, benissimo al ristorante ‘plebeo’ e quasi sempre ‘così così’ in quello ‘nobile’. Al secondo si aveva accesso solo se invitati dai deputati. Quel giorno eravamo invitati a pranzo dall’onorevole Piro. Che ritardava. E che mi fece chiamare via telefono. Dunque mi sono perso la seguente scena della quale ho avuto modo di vedere solo la parte finale. La parte iniziale, però, mi è stata raccontata. E per come mi è stata raccontata la racconto.
In quei giorni c’era stata qualche polemica sul ristorante dell’Ars. Lamentele che riguardavano, ovviamente, il cibo. Arriva – così mi racconta il mio collega – l’onorevole Paolone. Prende posto in un tavolo insieme con alcuni suoi colleghi parlamentari. Poi si alza dirigendosi verso il tavolo degli antipasti. Qualche secondo dopo, una voce si leva sovrana sul trambusto tipico di un ristorante con tante persone sedute ai tavoli. E’ la voce di Paolone. Che ha adocchiato un piatto con le sarde.
“Questa sarda io la conosco!”, dice con voce ferma e forte Paolone. Alla prima ‘botta’ sono in pochi a fare caso al suo ‘comizio’ improvvisato al ristorante. Paolone insiste. E, con tono di voce ancora più fermo, prosegue: “Sì, la conosco. Questa sarda la conosco bene. Ci siamo visti ieri e altro ieri. E forse anche tre giorni fa. E’ lei, è sempre la stessa”.
Nella sala, mi racconta il mio collega, cala un silenzio di tomba. Il gestore del ristorante si catapulta verso l’onorevole Paolone.
-“Onorevole, che succede, mi dica?”.
– “E che devo dirle – risponde – che questa sarda è qui da tre giorni? Sempre lei, sempre la stessa?”.
– “Ma che dice? E’ di stamatttina! E’ freschissima!”.
Ora, ai catanesi che di sarde a alici sono professori insuperabili – a Catania c’è la storia del ‘masculino della maglia’ – contrabbandare sarde e alici non fresche per fresche è praticamente impossibile. Insomma, il gestore impattò male. Altro che.

 

 

Giulio Ambrosetti

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