Beni confiscati, procura indaga sulle criticità della gestione «Non solo incompetenza, in alcune azioni c’è stato il dolo»

«Non si è trattato di superficialità o incompetenza, ma ci sono azioni in cui abbiamo riscontrato il dolo». Così il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro ha annunciato che gli uffici di piazza Verga stanno indagando sul curatore per conto dell’agenzia nazionale (Anbsc) di un bene confiscato nel Catanese «che ha avuto anche incarichi importanti». Durante il dibattito organizzato dall’associazione antiestorsione Asaec e dall’Università di Catania – e moderato dalla direttrice di MeridioNews Claudia Campese – proprio per discutere del tema, non sono mancati i riferimenti alle situazioni paradossali venute fuori nel corso dei sopralluoghi effettuati dopo il bando pubblicato per assegnare i beni direttamente al terzo settore. Abbandonati, devastati ma, soprattutto, occupati proprio da quei soggetti a cui erano stati tolti. Nonostante fossero già formalmente nelle mani dello Stato, alcuni di questi beni erano praticamente inaccessibili con cancelli e porte chiuse. Il procuratore ha poi aggiunto che ci sarebbe un’indagine in corso sia su una funzionaria dell’Agenzia di Reggio Calabria – che gestisce anche l’area della Sicilia – sia su altre criticità rilevate nel capoluogo etneo

«La questione dei beni confiscati alle mafie – ha detto il presidente
di Asaec Nicola Grassi – si intreccia con le nostre attività perché spesso sono il frutto di proventi illeciti di estorsione o usura.
Riconsegnarli alla collettività sarebbe una vittoria». L’ultima tappa di un percorso complesso che ancora troppo spesso non si riesce a compiere. «Dopo la confisca in via definitiva – ha detto il procuratore – bisogna controllare che questi beni non rimangano nelle disponibilità dei mafiosi. E proprio su questo il sistema si è rivelato profondamente inefficiente». Se invece funzionasse bene il passaggio della riassegnazione alla collettività, specie quella ai fini sociali, tutta la società civile ne avrebbe un guadagno. A dimostrarlo sono stati i professori di Unict Maurizio Caserta e Livio Ferrante con uno studio che ha messo in relazione il riutilizzo dei beni con diversi aspetti socio-politico-economici. «Per il settore dell’edilizia, si nota subito un aumento della concorrenza – hanno illustrato – Durante le elezioni, invece, diminuisce il livello di concentrazione di voti e nei Consigli comunali aumentano le elezioni di donne, giovani e volti nuovi».

Effetti concreti del contrasto alla criminalità organizzata che non avvengono se i beni vengono destinati a usi governati o venduti e nemmeno se un Comune viene sciolto per mafia. A incidere, insomma, sono le attività che costruiscono cultura sociale. E proprio da qui è partito il presidente della commissione antimafia regionale Claudio Fava. «A Catania ci sono ragazzini che, pur non avendo mai nemmeno visto una sua foto, hanno ancora il mito di Nitto Santapaola e vorrebbero diventare come lui solo perché hanno subìto un’eredità orale. Anche per questo, il tema della confisca e della riassegnazione ha una caratura simbolica fondamentale», ha detto Fava, illustrando in parte i risultati dell’inchiesta che la commissione ha portato avanti sui beni sequestrati e confiscati in Sicilia.

A parlare con i dati alla mano è stato poi il direttore dell’Agenzia, il prefetto Bruno Corda. «Delle aziende confiscate, il 68 per cento sono scatole vuole mentre il 27 per cento arriva già in stato di pre-liquidazione. Ed è per tentare di salvare queste – ha sottolineato Corda – che servono azioni immediate. Per questo, stiamo cercando anche di stabilire con Abi (l’associazione bancaria italiana, ndr) un protocollo d’intesa per un fondo di garanzia che possa assicurare alle aziende di restare sul mercato». Sulla custodia dei beni nella fase di transizione che va dalla confisca all’assegnazione, il prefetto ha ribadito che «non possiamo presidiarli tutti con le forze dell’ordine, chiediamo l’impegno delle associazioni e della società civile». Al suo appello ha risposto Matteo Iannitti de I Siciliani giovani che ha raccontato le esperienze di diversi sopralluoghi in beni «in condizioni inaccettabili: abbandonati e distrutti mentre invece quelli di maggiore pregio erano ancora occupati dagli stessi soggetti a cui erano stati tolti o da loro familiari. Questo – ha concluso – per noi è il sabotaggio della legge Rognoni-La Torre che è costata l’impegno e anche la vita a molte persone».

Marta Silvestre

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