Beni confiscati, in Sicilia quasi seimila vendibili ai privati Se dovessero tornare ai mafiosi, l’atto sarà ritenuto nullo

«I beni di cui non sia possibile effettuare la destinazione o il trasferimento per le finalità di pubblico interesse […] sono destinati alla vendita». È questa la parte del decreto legge in materia di Sicurezza e Immigrazione che riguarda l’estensione della vendita ai privati dei beni (immobili) confiscati alle mafie e che sono rimasti all’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc). La vendita di questi beni immobili, in realtà, non è una novità di per sé perché avveniva già all’asta, ma l’elemento nuovo è che ad acquistarli possono essere anche i privati cittadini. Il ministro dell’Interno, Matteo Salviniaveva già annunciato questa intenzione la scorsa estate e la notizia aveva suscitato clamore e proteste. Tra l’altro la stessa politica rispetto ai beni era portata avanti da Antonello Montante, ex numero uno di Confindustria arrestato dalla Dda di Caltanissetta, che ha avuto un ruolo importante nel recente passato dentro l’Agenzia. 

A rendere noto che un bene è comprabile sarà un annuncio pubblicato sul sito dell’Agenzia nazionale. «La vendita è effettuata al miglior offerente», si legge nel decreto ma non mancano delle precisazioni: l’acquisto è, infatti, escluso per colui che era proprietario al momento del sequestro o della confisca, per persone condannate (anche in primo grado) o indagate per reati di associazione mafiosa e anche per i coniugi, i conviventi e i parenti fino al terzo grado. Ma ovviamente il rischio è quello di prestanomi insospettabili. Dall’agenzia fanno sapere che in ogni caso, nel momento in cui si scopre che il bene è tornato a mafiosi, l’atto è nullo ab origine

Potrebbe essere questa la clausola in risposta alle perplessità sollevate da molte associazioni e da alcuni esponenti politici«Per le cosche poter riprendere possesso dei beni confiscati rappresenterebbe una vittoria e un segnale devastante – ha detto il presidente della commissione regionale antimafia, Claudio Fava – Evidentemente il governo nazionale non si rende conto dell’impatto che le misure proposte possono avere soprattutto in Sicilia». 

Ad avere la possibilità di essere messi in vendita sono tutti i beni immobili in gestione dall’Agenzia non ancora destinati ma destinabili. È l’Isola ad avere il primato nazionale con 5.789 (mentre quelli già affidati sono 6.096). Di questi, 2.111 sono terreni agricoli, 854 appartamenti in condominio, 669 terreni non definiti, 424 tra garage, box, autorimesse e posti auto, 228 sono abitazioni indipendenti, 227 magazzini e locali di deposito, 189 sono terreni edificabili e 168 i terreni con fabbricato rurale, le unità ad uso abitativo sono 151, 89 le ville, 77 tra negozi e botteghe, 46 fabbricati in corso di costruzione, 58 altre unità immobiliari, 32 sono fabbricati industriali, 25 tra alberghi e pensioni, 22 stalle e scuderie, 20 ex fabbricati rurali, 19 unità con destinazione commerciale, 12 laboratori di arti e mestieri, 8 uffici pubblici, 4 tettoie, 2 scuole o laboratori scientifici e anche un fabbricato per esercizi sportivi.

Per capire i cambiamenti apportati dalla nuova legge è necessario fare qualche passo indietro. All’origine della possibilità di trasformare un bene simbolo del potere mafioso in patrimonio comune, c’è l’intuizione di Pio La Torre che nel 1982, insieme all’allora ministro dell’Interno Virginio Rognoni, ispira la prima legge sulla confisca dei beni. Il passo successivo, nel 1996, arriva con l’approvazione della legge sul loro riutilizzo sociale. È il 2011 quando nasce il codice antimafia, un testo unico con tutte le norme penali, amministrative e processuali che, all’articolo 48, prevede già la possibilità di destinare i beni confiscati alla liquidazione, alla vendita o all’affitto. È all’interno di quello stesso codice che viene introdotto l’Anbsc come ente creato ad hoc.

Come funzionava prima? Nel periodo precedente al rinnovo del codice antimafia (novembre del 2017), i beni immobili potevano essere destinati allo Stato o agli enti locali, venduti a fondazioni bancarie o affidati a cooperative. Con la riforma è stata inserita la possibilità di affidarli alle associazioni. Dall’Agenzia si sottolinea che la novità del decreto sicurezza è che si possono vendere a chiunque. Tenendo conto delle prelazioni cui deve sottostare il privato. In via prioritaria, insomma, resta inalterato il principio che ciò che viene sottratto alle mafie va restituito alla collettività tramite l’affidamento alle istituzioni o alla società civile. Ma in Agenzia si tiene conto che c’è un limite nella capacità di assorbimento della collettività. Dalla fine del 2016, l’Agenzia ha proposto per la destinazione circa 5.300 immobili: per un 70 per cento c’è stata una risposta positiva, il restante 30 per cento rappresenta comunque un numero molto alto di immobili che restano da gestire. Per questi oggi è prevista la messa in vendita.

Per gestire le pratiche della vendita degli immobili è stata silgata una convenzione tra l’Agenzia e il notariato nazionale. Il prezzo viene stabilito con una perizia. Al momento del sequestro il giudice chiede all’amministratore giudiziario un documento che attesti il valore del bene. Poi può essere necessaria una nuova perizia alla base d’asta perché nel frattempo il cambiamento del mercato ed eventuali atti vandalici hanno potuto far cambiare il valore iniziale.

Per fare in modo che vendere i beni non significhi svenderli, il decreto prevede che «qualora entro novanta giorni dalla data di pubblicazione dell’avviso di vendita non pervengano proposte di acquisto […] il prezzo minimo della vendita non può essere determinato in misura inferiore all’80 per cento del valore della stima». Le somme ricavate dalla vendita, al netto delle spese per la gestione e la vendita, affluiscono al Fondo Unico Giustizia per essere riassegnate a ministero dell’Interno, della Giustizia e alla stessa Agenzia dei beni confiscati. 

Marta Silvestre

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