Being a serial stagista

“L’Italia è una Repubblica fondata sullo stage” diceva Beppe Severgnini. E dietro questa battuta si cela un universo quasi sommerso, variegato e popolatissimo di stagisti sull’orlo di una crisi di nervi, che dal settembre 2007 hanno uno spazio virtuale in cui confrontarsi e, soprattutto, informarsi. Per questo nasce la “Repubblica degli stagisti”, sito web ricco di contenuti, che spaziano dalle notizie sull’universo stage alle storie personali, con un forum in cui confrontarsi e diverse iniziative per indirizzare i ragazzi verso un’esperienza davvero formativa.

Ogni anno in Italia vengono attivati circa 300mila stage. Complice la riforma dell’Università, interessano ormai una grande fetta di giovani dai 20 anni in su. Ma le cose rispetto a qualche anno fa sembrano cambiate. E non in meglio.  
 
L’Isfol (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori) che monitora i tirocini promossi dai Centri per l’Impiego destinati a chi cerca una occupazione calcola che se nel 1998-99 la percentuale di coloro che trovavano un lavoro dopo la fine del percorso era del 46,4% (su 15mila), nel 2007 gli esiti positivi quasi si dimezzano, passando al 26,5% (su un totale di 52.700 tirocini). Insomma, aumentano le opportunità di formazione, si riducono le speranze di rimanere in enti e aziende con un contratto ‘vero’.

Fra stagisti ‘fantasma’ e anomalie italiane, proviamo a chiarirci le idee con Eleonora Voltolina, ideatrice della ‘Repubblica degli stagisti’. 

Eleonora, da dove nasce l’idea di creare la “Repubblica degli stagisti”? 
Dall’ultimo giorno del mio ultimo stage in una redazione giornalistica, esattamente il quinto! Il punto è che ogni stage che si aggiunge diventa sempre più frustrante, come se la tua formazione non bastasse mai, per questo ho inventato il termine di “serial stagisti”. Si tratta in realtà di uno dei problemi del nostro mercato del lavoro. Il tirocinio è un paravento per le aziende, come se fossimo tutti cardiochirurghi e per apprendere un lavoro avessimo bisogno di infinite specializzazioni. Fuori dall’Italia non funziona così. 

Qual è la situazione all’estero? Anche lì con la scusa della formazione si spreme lo stageur dandogli poco o niente in cambio?Siamo davvero un caso anomalo?
Direi di sì. Solo la Germania è in una situazione simile, avendo una legislazione al riguardo altrettanto leggera. Ma in Francia, ad esempio, lo stagista deve percepire almeno il 30% del salario minimo, così come in Irlanda e in Belgio. Oppure pensiamo alla Spagna, dove non è concesso fare stage dopo aver conseguito la laurea, perché si suppone che tu sia già formato per lavorare. 

E in Italia c’è differenza tra il nord e il sud? Non solo quantitativa, ma soprattutto qualitativa.
Io mi baso sulle esperienze che raccolgo e su dati ministeriali, e posso dire che l’utilizzo più virtuoso dello stage è più frequente nel nord Italia. Per esplorare il punto di vista qualitativo mancano però i dati, anche perché personalmente ho ricevuto maggiori segnalazioni dal centro-nord. Il sud è quindi un’area ancora da indagare. 

E’ stata questa mancanza di chiarezza e di dati a spingerti a creare il blog?
Sì, e anche il suo successo è spiegabile con l’assenza di competizione. Mancava infatti uno spazio dedicato agli stagisti a 360 gradi e ovviamente la scelta del mezzo è dovuta al basso costo degli spazi online, che permettono anche di espanderti. Il blog infatti, dopo un anno e mezzo, nell’aprile 2009 è diventato un vero e proprio sito. 

Un sito con un forum molto attivo e con un’utile “lista dei buoni”. Ci spieghi di che si tratta?
Il forum è un luogo di confronto e informazione per tutti gli stagisti o per chi sta iniziando adesso. C’è chi racconta le proprie esperienze, chi mette in guardia da una specifica azienda, chi chiede consigli, ecc. La “Lista dei Buoni” nasce invece l’anno scorso per rispondere al problema degli stage gratuiti. Ricevevo un sacco di lamentele e ho pensato che un altro modo, magari positivo, di affrontare la situazione fosse possibile. Così ho invitato i lettori a segnalare le aziende che concedevano ai propri stagisti almeno 500 euro di rimborso spese, e in pochi mesi ho raccolto circa 100 nominativi.  

Come hanno risposto le aziende?
Devo dire abbastanza bene. Le ho poi ricontattate una per una, e circa un terzo di queste hanno deciso di collaborare rilasciando delle informazioni aggiuntive sulle condizioni di stage, andando a formare la “Lista dei Buoni DOC”. Ad alcune aziende poi è stato rilasciato il nostro bollino “Ok Stage” per aver firmato la “Carta dei diritti dello stagista”, che tra le altre cose prevede l’obbligo di assumere almeno il 30% degli stagisti, cioè ben uno su tre. Al momento le aziende firmatarie sono 12, e tra poco se ne aggiungeranno altre due: ovviamente la crisi economica non ci ha aiutati. Lo scopo comunque era quello di far emergere tutte quelle realtà che usano positivamente lo stage e di creare una sorta di autoregolamentazione del fenomeno.  

E poi c’è il sondaggio “Identikit dello stagista”. Cosa ne farete?
Il sondaggio è completamente anonimo, ma chiede dei dati che ci serviranno proprio ad inquadrare meglio il fenomeno dello stage e le sue variabili, fra cui la provenienza geografica, a proposito di quello che dicevamo prima. La compilazione verrà chiusa ad agosto e i risultati elaborati dall’Isfol si avranno a novembre: presenteremo sia i dati totali che quelli scorporati, ad esempio per età, per area geografica e per titolo di studi. Ci servirà per avere degli elementi più forti su cui valutare l’universo stage, che è molto variegato. 

Ma quanto c’è di vero nello stereotipo dello stagista portatore di caffè e addetto alle fotocopie? Ti capita ancora di sentire esperienze simili?
Io la vedo così: se c’è da fare una fotocopia la si fa, non c’è niente di male, l’avrà fatto anche il dirigente dell’azienda all’inizio della sua carriera. La cosa grave è quando lo stage si riduce a questo. Penso al caso di due ragazze: una mi ha raccontato di aver lavorato in una grande azienda e di essersi sentita un fantasma, completamente alienata, perché  lavorava solo con il suo tutor, come una sorta di segretaria personale, e non poteva mai entrare in contatto con il resto della squadra o con i clienti. L’altra è una studentessa di Scienze della Moda che ha attivato uno stage con un’azienda del settore per conseguire la laurea, ma si è ritrovata per tutti i sei mesi piazzata in un negozio a fare la commessa. Il suo obiettivo formativo era diverso, non certo quello di vendere foulard! 

E l’obiettivo di inserimento nel mondo del lavoro e ancora valido o è solo un sogno?
Questo è un aspetto dibattuto, anche se per gli stage dopo l’università dovrebbe essere scontato. Un’azienda, in teoria, dovrebbe investire sullo stagista attuando una politica lungimirante, e quindi dovrebbe avere tutto l’interesse e l’intenzione di trattenere la risorsa che ha formato. Anche perché un’azienda non fa beneficienza, ma dà e prende: quelle storie che raccontano alcuni, sullo stage che è tutto a beneficio del ragazzo sono solo una menzogna. Eppure a volte capita che diventi solo un’occasione per avere manodopera a basso costo, e in quel caso il ragazzo deve imparare a non subire, ma a scegliere. 

Ma spesso le aziende lamentano di avere poco tempo per formare i ragazzi durante gli stage universitari e di vedersi penalizzate. Quanto c’è di vero?
In effetti gli stage troppo corti mettono in difficoltà le aziende, perché il percorso formativo diventa monco. Sarebbe necessario un ragionamento per uniformare le esigenze dell’università e delle aziende. Una durata media di tre mesi potrebbe essere più utile di un ‘mordi e fuggi’, ma è anche vero che le ore stabilite dall’università non sono obbligatorie per il contratto di stage, sono solo il minimo. Nulla vieta un accordo per un periodo di tempo maggiore, ma è vero che la flessibilità è necessaria. 

Quale consiglio daresti ai ragazzi che vogliono fare uno stage?
Sicuramente arrivare preparati informandosi e rifiutare percorsi formativi vaghi. In questo caso è importante responsabilizzare gli enti promotori, come gli uffici stage delle università affinché non siano solo quelli che mettono una firma su un modulo. Consiglio anche di essere superumili e comportarsi come spugne, assorbendo quanto più possibile delle competenze, ma di non chiudere gli occhi davanti ai soprusi e rivolgersi anche alla Direzione Provinciale del Lavoro, se necessario: hanno cose più importanti di cui occuparsi, ma non bisogna subire. Si devono poi utilizzare tutte le risorse per informarsi, come internet, per confrontarsi e avere il maggior grado di consapevolezza possibile.  

Eleonora, che soluzione intravvedi per l’anomalia italiana? Servirebbe una legislazione più approfondita?
Di sicuro aiuterebbe, vista la carenza e la scarsa differenziazione tra i vari tipi di stage e le loro condizioni. Sarebbe però difficile trovare dei sostenitori all’interno del Parlamento, per questo credo che il primo passo sia sensibilizzare l’opinione pubblica e i soggetti coinvolti, come le Università, le aziende e i ragazzi. Bisogna fare uscire questo universo dal cono d’ombra in cui si trova, e la “Repubblica degli stagisti” ci prova cercando di innalzare il grado di consapevolezza di tutti gli attori dello stage. Solo così si potranno pretendere e ottenere condizioni migliori.

Benedetta Motta

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