Ballarò, da oggi aperte le porte di Casa Santa Chiara Don Enzo Volpe: «Non solo forme di assistenzialismo»

Si aprono ufficialmente le porte di Casa Santa Chiara, nel cuore di Ballarò. I lavori sono stati ultimati e adesso, a parte gli ultimi piccoli dettagli, è tutto pronto per i nove ragazzi stranieri neomaggiorenni che vi abiteranno per un anno. Quella di oggi sarà la loro prima notte in casa. «Un luogo dove la parola benvenuto non sarà mai straniera», è questo il messaggio lanciato dall’organizzazione no-profit Ciai, che esattamente un anno fa ha dato il via a Palermo al progetto Ragazzi Harraga, promosso dalla campagna #non6solo e che coinvolge circa 400 ragazzi migranti soli impegnandosi per tre anni ad aiutarli a integrarsi nel nostro tessuto sociale, con una serie di servizi che vanno al di là della prima accoglienza.

Saranno i ragazzi stessi, nel corso della loro permanenza, a dedicarsi agli ultimi ritocchi per la casa e a sistemare il resto. «Noi abbiamo fatto in modo di far trovare tutto pronto, in modo che potessero essere accolti», spiega Don Enzo Volpe, parroco del quartiere. La loro permanenza durerà soltanto per un anno, concluso il quale i ragazzi, a fronte dei tirocini già intrapresi e delle prime esperienze lavorative, qualcuno ha ripreso anche a frequentare la scuola, saranno accompagnati nell’inserimento abitativo e professionale, qualora decidessero di restare a Palermo.

Quest’estate saranno anche impegnati a relazionarsi con i volontari che parteciperanno ai campi estivi di Libera, che quest’anno si svolgeranno a Ballarò, quartiere dove saranno ospitati, ma nella foresterie della chiesa Santa Chiara adibita a ostello. «Qualcuno di loro si occuperà del comitato di accoglienza, ci saranno delle interazioni fra i volontari e i ragazzi della casa, ci saranno delle collaborazioni», continua Don Enzo. Questo è un progetto sperimentale, il cui sviluppo e progresso verrà seguito passo passo e che al momento viene pensato solo per questo primissimo gruppo di ospiti che ne varca le porte.

«Questo primo anno serve proprio come start up, per aiutare chi è un po’ più fragile, abbiamo fatto una selezione per scegliere i ragazzi più bisognosi e fa parte anche del sistema di inclusione che abbiam in mente – prosegue Don Enzo -, una volta raggiunta un’età più adulta, sui 20-21 anni, possano tranquillamente inserirsi nella società, se vorranno restare qui. Non è una forma assistenzialistica, ma di inclusione in senso stretto. Non sappiamo se, conclusa l’esperienza con questi primi nove ragazzi, proseguiremo su questa strada – conclude – vediamo come andrà».

Silvia Buffa

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