Trentamila euro e la speranza di vivere in una città tutelata. Il bottino della rapina a una tabaccheria di Avola, la notte tra giovedì e venerdì scorso, va oltre il valore economico della merce rubata. Oltre ai tabacchi, al computer e a prodotti di vario genere, infatti, i rapinatori hanno portato via il senso di fiducia nelle istituzioni. A riprova di come, oggi, esistano territori dove la presenza dello Stato è deficitaria.
Testimone di quanto accaduto è Tania Caldarella, figlia della titolare del negozio svaligiato. La giovane è stata svegliata dai rumori provenienti dalla strada, dove un gruppo di cinque malviventi tutti a volto coperto erano intenti a scassinare la tabaccheria di famiglia. Prima con l’utilizzo di un’auto rubata come ariete, e poi a colpi di spranghe per farsi largo e accedere all’interno. Un’azione durata dieci minuti, nei quali Caldarella ha tentato di fare il proprio dovere di cittadina: chiamare le forze dell’ordine.
«Ho prima telefonato ai carabinieri – racconta a MeridioNews -. Mi ha risposto la pattuglia che si trovava a Noto, dicendomi che in dieci minuti sarebbero arrivati. Nell’attesa ho anche chiamato al commissariato di polizia di Avola e lì – continua la ragazza – mi è stato detto che purtroppo non c’erano auto e personale da inviare. Sono rimasta senza parole». In quell’arco di tempo, i rapinatori hanno proseguito nella loro azione «con un’insolita calma», quasi fossero consapevoli di non correre pericoli.
«Agivano indisturbati e questo nonostante il commissariato si trovi a un paio di minuti da qui – commenta la figlia della titolare -. C’è stato un momento in cui è passato un ragazzo con uno scooter e uno di loro si è messo in mezzo per rallentargli il cammino. Questo mi ha dato la prova di come sia gente che non ha nulla da perdere, a differenza – aggiunge Caldarella – di chi invece, come la mia famiglia, lavora sodo per poi ritrovarsi derubata in questo modo».
Ma il dito non è puntato contro il singolo commissariato, quanto nei confronti dello Stato: «Sono stata chiamata dalla polizia l’indomani – sottolinea la ragazza – e il dirigente mi ha spiegato che non è dipeso da loro. Purtroppo Avola, come tanti altri luoghi, patisce la carenza di personale. E la responsabilità di questa decisione va ricercata nelle scelte dello Stato e di chi organizza le forze dell’ordine sul territorio». Adesso l’intenzione è di rivolgersi al prefetto: «Tramite una raccolta firma e un’associazione antiracket cercheremo di attirare l’attenzione su questa situazione – conclude -. Perché è importante che si sappia che viviamo in un posto non sicuro».
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