A caccia di relitti sui fondali del Mediterraneo «Raccontare la storia da un’altra prospettiva»

Cacciatori di relitti. Tra i vari giochi – per dirla con Tony Canto e Nino Frassica – che si possono fare a mare c’è anche la scoperta dei resti del tempo che fu. La storia del mondo che si intreccia con le storie degli uomini: di quelli che non ci sono più e di quelli che aiutano a ricordarsene. Stamani a Sciacca verrà presentato l’ultimo ritrovamento del Team Rebreather Sicilia, realizzato nell’ambito del progetto Ombre dal fondo. Alle 10,30, presso il Circolo della Cultura di via Vittorio Emanuel, si parlerà del rinvenimento del Savoia-Marchetti 79 Sparviero, velivolo della seconda guerra mondiale abbattuto dai caccia inglesi il 14 agosto del 1942. 

In dotazione alla Regia Aeronautica, l’aereo veniva utilizzato sia come bombardiere che come silurante e contava un equipaggio di cinque uomini, tutti dispersi in seguito all’accaduto. A raccontare i lavori di ricerca sarà il coordinatore del progetto e documentarista Riccardo Cingillo, assieme a Sebastiano Tusa, soprintendente del mare, Fabrizio di Paola, sindaco di Sciacca, Luca Papasso, comandante del 37esimo Stormo Birgi Trapani, Massimo Di Marco, comandante della guardia costiera di Porto Empedocle, Santo Tirnetta, fotografo del gruppo e Nicola Virgilio, storico. 

«Con Ombre dal fondo – afferma Cingillo – da due anni ricerchiamo relitti della prima e della seconda guerra mondiale, anche se nel 2014, ad Aci Trezza, ne abbiamo individuato uno risalente a circa 4000 anni fa e tuttora oggetto di approfondimento e studio. Nell’ottobre scorso – continua – ci siamo imbattuti, invece, in un bombardiere americano al largo della costa palermitana». Il Team Rebreather, che prende il nome dallo strumento del quale i sub si servono per raggiungere alte profondità, ha avviato quest’ultima impresa partendo da proprie ricerche archivistiche, per poi affidarsi alle testimonianze dello storico Nicola Virgilio e dei pescatori della zona. 

«Quando intraprendiamo un progetto simile – continua Cingillo – fissiamo alcuni punti di riferimento documentandoci, ad esempio, con i rapporti della marina militare e con i saggi storiografici. Poi ci spostiamo sul campo ed è qui che incontriamo i pescatori, i quali ci forniscono indicazioni sullo specchio d’acqua in fondo al quale potrebbe esserci il relitto. Chi lavora a strascico – prosegue l’esperto – localizza le cosiddette afferrature, ossia punti dove le reti si imbrigliano e da dove le barche non passano più: è facile che i resti che cerchiamo coincidano con quella zona». 

Ma dopo il ritrovamento, qual è la funzione di queste scoperte? «Tramite la nostra prospettiva, è possibile offrire uno spaccato degli episodi bellici visti dal mare. Inoltre – aggiunge Cingillo – il relitto diventa un mezzo per raccontare la storia: in alcuni casi, i testimoni oculari dell’affondamento sono ancora in vita e i loro resoconti ci consentono di integrare quanto abbiamo ricostruito fino a quel momento. Documenti, relitti, testimonianze: in questo modo la gente continuerà a ricordare». 

C’è addirittura chi scrive ai ricercatori per sapere se figuri qualche proprio parente nell’elenco dei dispersi, come un signore di Firenze, che ha mandato una mail qualche giorno fa informandosi su suo cognato. Manco a dirlo, l’attività di Cingillo e compagni è totalmente autofinanziata e si avvale del supporto delle istituzioni limitatamente ad autorizzazioni e logistica. Tuttavia «la Sicilia, nel nostro campo, è all’avanguardia e ciò anche grazie all’ottimo funzionamento della sovrintendenza del mare», conclude il documentarista. A maggio, infine, uscirà Relitti di Sicilia, itinerari della memoria, volume che racchiude le storie di tutti i ritrovamenti effettuati attorno all’Isola e di tutti quei casi in cui toccare il fondo non è poi così male.

Gino Pira

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