Augusta, Curia vuole rimuovere don Prisutto da parroco «Qualcuno ha deciso di farmi la guerra, ma io resisto»

«Io devo resistere. Non posso consegnare la mia testa su un piatto d’oro. Se qualcuno ha deciso di farmi la guerra, io mi devo difendere». Don Palmiro Prisutto, l’arciprete della chiesa madre di Augusta diventato un simbolo della lotta contro l’inquinamento ambientale della zona industriale, ha ricevuto la rimozione dall’incarico di parroco da parte della Curia di Siracusa. «Non un semplicemente avvicendamento – spiega don Prisutto a MeridioNews – ma un atto disciplinare previsto dall’ordinamento canonico». Sulle motivazioni dalla Curia hanno scelto di non rilasciare nessuna dichiarazione. Intanto, i fedeli hanno lanciato una petizione popolare per chiedere chiarimenti all’arcivescovo di Siracusa Francesco Lomanto. Una seconda raccolte firme online sulla piattaforma Change.org, con cui si chiede l’interruzione del provvedimento, è indirizzata direttamente a Papa Francesco.

«Con il vescovo ho parlato solo due volte – dice don Prisutto – e non so come sia arrivato a questa conclusione. Adesso, il mio legale sta seguendo la vicenda e sta preparando una memoria difensiva perché io non ho alcuna intenzione di lasciare il mio incarico di parroco». Ad Augusta, don Palmiro arriva nel 2013 quando la chiesa madre era stata devastata dallo scandalo del parroco accusato di abusi sessuali ai danni di una ragazza 21enne durante la confessione. Una vicenda per cui il sacerdote Gaetano Incardona, che oggi ha 82 anni, è stato condannato a cinque anni e tre mesi per violenza sessuale aggravata. Già nel 2016, l’allora vescovo Salvatore Pappalardo aveva chiesto le dimissioni di don Palmiro. All’epoca, i motivi sarebbero stati i contrasti con le storiche confraternite della città. «Ora a me pare che si stia ripetendo la stessa identica storia, è solo cambiato il soggetto», commenta il sacerdote. All’epoca, la richiesta era stata poi revocata ma si è portata dietro degli strascichi che sono finiti in tribunale in un processo per diffamazione e calunnia che è ancora in corso. «Più volte – sostiene don Prisutto – mi è stato chiesto di ritirare la querela che ho presentato. Ma io non l’ho mai fatto e non ho nessuna intenzione di farlo».

Dopo una prima lettera di ammonizione, datata 21 giugno, in cui il vescovo avrebbe invitato don Prisutto a dimettersi entro quindici giorni, è arrivata la procedura canonica per la rimozione del prete. Un atto disciplinare che si riferisce all’attività pastorale che nell’ordinamento è codificata in due canoni: il 1740 in cui si legge che «quando il ministero di un parroco, per qualche causa, anche senza sua colpa grave, risulti dannoso o almeno inefficace, quel parroco può essere rimosso dalla parrocchia da parte del vescovo diocesano»; e il canone 1741 che indica cinque possibili cause: «il modo di agire che arrechi grave danno o turbamento alla comunione ecclesiale; l’inettitudine o l’infermità permanente della mente o del corpo, che rendano il parroco impari ad assolvere convenientemente i suoi compiti; la perdita della buona considerazione da parte di parrocchiani onesti e seri o l’avversione contro il parroco, che si preveda non cesseranno in breve; grave negligenza o violazione dei doveri parrocchiali, che persista dopo l’ammonizione; cattiva amministrazione delle cose temporali con grave danno della Chiesa, ogniqualvolta a questo male non si possa porre altro rimedio».

Intanto ogni 28 del mese, don Prisutto durante la celebrazione della messa legge i nomi di tutte le vittime di cancro della città di Augusta. «Ormai l’elenco è lungo: abbiamo superato le 1200 persone e sono solo una parte, quella che siamo riusciti a censire», spiega il prete che da anni porta avanti la sua battaglia contro l’inquinamento del quadrilatero industriale e che, per questo, è stato a più riprese definito un «sacerdote di frontiera» e insignito anche del premio Nenni nel 2015. «È assurdo – conclude il parroco – che mi accusino di avere turbato la comunione ecclesiale della comunità del popolo di Dio e che il mio ministero sarebbe inefficace»

Marta Silvestre

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