Assolo e fiori per Monica Guerritore

di Gabriele Bonafede

Quando si dice: l’attrice fa lo spettacolo.  Monica Guerritore tiene lo show End of the Rainbow al Teatro Biondo di Palermo quasi da sola, anche perché la sceneggiatura non riesce a dare profondità alla vicenda del personaggio: quella Judy Garland, stella di Holywood dagli anni ’30 agli anni ’60, dallo splendido e celebrato successo artistico accoppiato e una vita disperata, tra matrimoni falliti, pasticche e alcol.

La Garland con Mickey Rooney

Poteva essere un’occasione per approfondire temi esistenziali, riflessioni sulla “costruzione”, o sulla “nascita” di una stella e su quale sia il rapporto tra vita d’apparenza e realtà d’ogni giorno, tra successo e vita reale, con tanta carne al fuoco. Ma i dialoghi girano intorno, per molto, forse troppo tempo, su un tema unico: l’autodistruzione per impasticcamento e alcolismo dovuto, apparentemente, allo stress per ritmi di lavoro eccessivi e insicurezza cronica. Non c’è, ad esempio, la Garland (al secolo Frances Ethel Gumm) madre di tre figli, che pure era uno degli aspetti che ci si poteva augurare in questa rappresentazione, soprattutto se si pensa che una delle figlie della Garland è Liza Minnelli.

Ne emerge un quadro che potrebbe decollare ma non lo fa. Forse sarebbe stato interessante approfondire di più il rapporto tra essere star e persona allo stesso tempo, con un percorso a tutto tondo e reso popolare sulla scia delle analisi di analoghe e note tragedie, come quella di Marylin Monroe o della più recente Amy Winehouse. Con in più il “ruolo di madre” che la Garland aveva contrariamente alle star citate.

Ma nello spettacolo di ieri sera al Teatro Biondo di Palermo, tutto questo rimane superficiale, se non assente, senza una presa sul pubblico più esigente che rischia di annoiarsi in certi passaggi ripetuti, pur acclamando e sostenendo l’attrice principale, applaudita a scena aperta all’arrivo e in altre occasioni.

Monica Guerritore canta Judy Garland

In End of the Rainbow c’è una ricerca sul rapporto con il pubblico, reso  “mondo comune” e “giudice coinvolto” nel dialogo tra esistenza d’artista e esistenza concreta. E ciò giova alla godibilità in un paio di passaggi scenici e realmente sceneggiati. Così come la voce dell’attrice, molto diversa rispetto a quella del personaggio, potrebbe essere intesa come recupero, o esaltazione,  della vita comune sulla vita hollywoodiana. E questo si evince ancor più nel finale, dove la Guerritore canta a cappella e “traduce” in teatro la dolcezza terminale di Over the Rainbow, seguita da uno struggente originale della Garland.

Alla fine la Guerritore è coperta di fiori, segno che il pubblico apprezza comunque la sua ricerca, la sua presenza, la sua capacità d’attrarre, intrattenere e scoprire assieme un omaggio coraggioso a un grande personaggio nella storia della musica e del cinema.

Tuttavia non si evince, nel complesso, quale sia il rapporto tra questo spettacolo e la strategia di rinnovamento del Biondo-nuova gestione. Agli imminenti spettacoli di Roberta Torre e Emma Dante il compito di chiarire qualcosa su questo punto.

Gabriele Bonafede

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