Assinnata, il metodo per riscuotere estorsioni La spedizione dopo le feste: «Coppa co lignu»

Il clan Assinnata, comandato dal boss Turi Assinnata, con l’andare del tempo si era trasformato in una vera e propria holding delle attività illecite: droga, estorsioni e recupero crediti. Un’azienda in grado di non perdesi mai d’animo nei momenti bui, capace di diversificare i propri affari e di convincere le proprie vittime a non uscire mai dal giro. La struttura malavitosa sarebbe riuscita a imporre il pizzoa imprenditori e commercianti, attraverso i suddati. Uomini abili e fidati incaricati per il recupero crediti.

Gli aneddoti emergono nelle 238 pagine dell’ordinanza che ha dato il via all’operazione antimafia The end, culminata con l’arresto di 14 presunti affiliati al clan. Tra i quali proprio Turi Assinnata, considerato il vero deus ex machina, colui che seguiva personalmente le attività illecite. Sarebbe stato il presunto boss, il gestore della cassa comune, alimentata dalle somme ricavate da estorsioni e dallo spaccio di droga, che serviva a pagare gli stipendi degli affiliati.

Nell’elenco degli esattori del clan ci sarebbero stati Giuseppe Parenti, Daniele Beato, Rosario Oliveri e Giuseppe Fusto. In un’intercettazione del 2013 tra Parenti e Benedetto Beato (anch’egli arrestato, ndr) si parla di come recuperare  900 euro da dover mettere in cassa. A parlare per primo è quest’ultimo: «U truvasti?», chiede riferendosi presumibilmente a un creditore. Parenti risponde di «sì» e spiega di aver ottenuto «150 (euro, ndr)… Appoi porta l’autri». A questo punto Beato replica con stupore e afferma: «Minchia… di 900… ti puttau 150?». Nel colloquio si inserisce la precisazione dell’uomo che doveva recuperare le somme: «No… m’apputtari turti pari entro oggi […]». La conversazione prosegue con Beato che cita anche il presunto capo cosca: «Ci l’addari… Se usapi u zu Turi (Assinnata, ndr) fa buddellu». 

In un’altra intercettazione del dicembre del 2012 tra Assinnata e Parenti, quest’ultimo chiede al presunto capo un consiglio su come recuperare i crediti, ma anche il permesso di dare «coppa co lignu» alla persona alla quale doveva chiedere i soldi. Parenti domanda: «T’ha pozzu diri na parola? Ma cu chiddu comu finiu? Cu chiddu d’infami […] Dopu u Capudannu u chiamamu?». Assinnata risponde senza utilizzare mezze misure autorizzando anche l’eventuale spedizione punitiva: «Quannu diciti vuatri ci iti e ci iti a rumpiri i conna». L’invito viene accolto, pare positivamente, anche se alla vittima viene lasciato il tempo di «farisi sti festi».

Gli uomini di Assinnata mostravano anche un approccio diverso, più mite; quando c’era da chiedere i soldi del pizzo. Per esempio il caso dell’estorsione fatta al titolare della società palermitana Due Esse costruzioni che nel 2012 stava effettuando dei lavori di rifacimento del tetto all’edificio di via Vulcano, che ospita il secondo Circolo didattico Giovanni XXIII. Da questo episodio e dalla successiva denuncia partono le indagini dei militari: «Avete fatto i vostri lavori tranquillamente senza che nessuno vi ha disturbato – spiega uno degli uomini di Assinnata a uno dei soci dell’impresa -. Visto il periodo in cui ci troviamo e che siamo tutti peri peri se era possibile qualcosa, a suo buon cuore». 

Mentre in altre circostanze, come nel caso delle visite a un ottico del centro di Paternò, i suddati del clan non erano per nulla generosi: entravano nel negozio, minacciavano i proprietario pretendendo che venissero consegnate loro diverse paia d’occhiali, senza pagare. E quando il titolare chiedeva di saldare il conto la risposta non era certo amichevole: «Tu fazzu avvidiri iù si nun mi duni». 

Salvatore Caruso

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