Articoli 36 e 37 dello Statuto siciliano: qualcosa sta cambiando?

da Franco Piro
riceviamo e volentieri pubblichiamo

Una delle questioni più importanti che fanno riferimento alla (mancata) attuazione dello Statuto speciale siciliano è quella relativa agli articoli 36 e 37 dello stesso Statuto, che definiscono il regime delle entrate tributarie di spettanza della Regione.

In realtà, è una problematica complessa ed annosa, che si trascina da tempo immemore, oggetto di decine di ricorsi da parte della Regione e di altrettante pronunce da parte della Corte Costituzionale che, nel corso dei decenni, hanno generato un giudicato disomogeneo e contraddittorio.

Ciò che è fortemente dibattuto e contrastato è, in particolare, il significato da attribuire agli articoli 2 e 4 del DPR 1074 del 1965 che contiene norme di attuazione dello Statuto in materia di entrate tributarie. In estrema sintesi: quando l’articolo 2 del DPR 1074/65 dice che spettano alla Regione siciliana tutte le entrate erariali riscosse nell’ambito del suo territorio, a cosa bisogna riferirsi? Occorre considerare il cosiddetto principio della territorialità della riscossione che fa esclusivo riferimento al luogo in cui si fa l’operazione contabile, o il principio della capacità fiscale che fa riferimento al luogo dove matura il presupposto della imposizione fiscale?

Non è cosa di poco conto. Nel primo caso vanno attribuite alla Regione le entrate tributarie, ad esempio, l’Irpef, riscosse nel territorio regionale. Questa tesi, che anche recentemente è stata sostenuta dal Ministero della Economia, si appoggia tra l’altro al fatto che, quando lo Statuto vuole attribuire alla Regione anche entrate maturate in regione, ma riscosse altrove, lo prevede espressamente come all’articolo 37 che riguarda le aziende private con sede sociale altrove, ma stabilimenti e dipendenti in Sicilia (e viceversa).

Nel secondo caso, invece, devono essere attribuite alla Regione non solo le entrate riscosse in Sicilia, ma anche quelle che maturano nell’ambito regionale, come sono, nel caso dell’Irpef, le ritenute fiscali sul reddito dei dipendenti dello Stato e degli altri enti pubblici statali che risiedono e lavorano nella nostra regione.

Non è cosa di poco conto e lo dimostra l’allarme lanciato dallo stesso Governo regionale. Nella relazione tecnica al disegno di legge 724/14 di variazioni di bilancio, una delle tante variazioni presentate quest’anno dalla Giunta regionale, sono riportati dati che illustrano il fenomeno.

Nel 2011, infatti, l’imposta netta riferibile all’Irpef maturata in regione è stata di 7.643 milioni di euro, ma l’Irpef riscossa effettivamente dalla Regione è stata di 4.696 milioni, cioè soltanto il 61,4%, comprendenti sia le entrate ex art. 36 che le entrate ex art. 37. Ciò che suscita particolare allarme è che dal 2008 è iniziato un trend negativo per cui le entrate Irpef effettivamente riscosse rispetto a quelle maturate sono passate dal 66,8% del 2008 al 61,4% del 2011. Quanto illustrato in precedenza costituisce sicuramente una parte della spiegazione.

Ma non c’è soltanto l’Irpef. L’interpretazione da dare all’art. 2 del DPR 1074/65 riguarda anche altri tributi: l’Iva all’importazione, l’Iva pagata dalle imprese con sede legale fuori dalla Regione, l’Iva versata dai depositi periferici che vendono generi di monopolio. Ancora: l’imposta sulle assicurazioni Rca e non solo. L’imposta sugli interessi, sui premi e su altri frutti maturati sui conti correnti e di deposito delle Poste e degli Istituti di credito per le filiali in Sicilia.

Complessivamente, dunque, tra Irpef, Iva, ritenute ed imposte si tratta di svariati miliardi che, se attribuiti alla Regione, potrebbero risollevare le sorti del bilancio regionale e dell’intera Isola.

Come abbiamo detto in precedenza, la Regione, visto che lo Stato ha fatto sempre orecchie da mercante, ha provato più volte a rivolgersi alla Corte Costituzionale nel tentativo di vedersi riconosciuto il principio della capacità fiscale. Per ultimo, con il ricorso presentato il 27/2/2008 con il quale veniva impugnata non una legge e nemmeno un decreto, bensì una semplice nota del Mef, con la quale il Ministero respingeva la richiesta della Regione di avere attribuito il gettito riveniente dalle entrate di cui si è parlato.

La Corte Costituzionale si è pronunciata con la sentenza 116/2010, redattore Franco Gallo, giudice spesso contrario alle tesi sostenute dalla Regione, ora non più alla Corte. La suprema Corte, in questo caso, ha dato ragione al Ministero e torto alla Regione, affermando che le entrate tributarie rivendicate dalla Regione spettano invece allo Stato, proprio in virtù del riaffermato principio della territorialità della riscossione.

Dopo tale sfavorevolissima sentenza, ovviamente la Regione non ha più presentato ricorsi nel merito specifico, continuando così ad essere notevolmente penalizzata nelle sue rivendicate entrate tributarie.

Se non che, pronunciandosi con sentenza n. 207 del 23 luglio 2014 relativa ad un ricorso della Regione contro un decreto legge che poneva delle riserve su Iva generata dagli interventi in materia di efficientamento energetico, la Corte Costituzionale, non solo ha dato ragione alla Sicilia nel merito specifico, ma ha chiaramente affermato, rifacendosi per altro ad una precedente sentenza del 2004, che “l’articolo 2 del DPR 1074/65 va inteso nel senso che deve essere assicurato alla Regione il gettito derivante dalla capacità fiscale che si manifesta nel suo territorio, e cioè dai rapporti tributari che sono in esso radicati, in ragione della residenza fiscale del soggetto produttore del reddito colpito o della collocazione nell’ambito regionale del fatto cui si collega il sorgere dell’obbligazione tributaria. Ciò che rileva, quindi, è che venga assicurato che alla Regione giunga il gettito corrispondente alla sua capacità fiscale”.

Questa parte della sentenza è clamorosa, innanzitutto perché ribalta totalmente l’orientamento espresso dalla Corte con la sentenza 116 del 2010. Poi perché priva il Governo nazionale del presupposto interpretativo, fondato proprio sulla sentenza 116/2010, utilizzato per negare il diritto della Regione.

Certo, non si può sostenere, come ha fatto di recente il sottosegretario Zanetti, che, tra due sentenze in contrasto, il Governo ha il diritto di scegliere quella a più favorevole allo stesso esecutivo, anche perché questa è del 2010, mentre quella favorevole alla Regione è recentissima, di un mese fa.

Lo è, clamorosa, anche per quanto riguarda i profili politici. E’ necessario notare come questa sentenza sia sfuggita per poco alla tagliola derivante dallo scellerato accordo tra Governo nazionale e Governo regionale dello scorso giugno che prevede la rinuncia formale della Regione a tutti i ricorsi già presentati. L’accordo prevede anche, a tutela del Governo nazionale, che in ogni caso la Regione rinunci agli effetti di eventuali sentenze favorevoli per il periodo che va fino al 2017.

La sentenza 207/2014 ricade sotto questa mannaia e quindi il Governo regionale si asterrà dal fare alcunché?

Si tratterebbe di una sciaguratissima ipotesi. Al contrario, il Governo regionale dovrebbe attivare tutte le iniziative possibili ed utili affinché alla nostra Regione venga riconosciuto, nei fatti, il diritto a iscrivere nel proprio bilancio diversi miliardi di entrate tributarie che le spettano e che le sono indispensabili.

Mi auguro che nel Governo, all’Ars, tra le forze politiche, nei media e nell’opinione pubblica si crei un dibattito ed una mobilitazione che potrebbero portare ad uno storico risultato per l’Autonomia siciliana.

Redazione

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