Art factory 05, giovani artisti a palazzo Valle «Siciliani grandi creativi, ma politica non aiuta»

Sono più di mille i visitatori all’inaugurazione di Art factory 05, che si è svolta ieri alla Fondazione Puglisi Cosentino. I tre piani del Palazzo Valle di Catania ospitano la quinta edizione della più longeva fiera dell’Arte moderna e contemporanea del Meridione. Anche quest’anno, la quattro giorni di mostra mercato diretta da Daniela Arionte ha l’intento di promuovere i rapporti tra artisti – emergenti e affermati – e gallerie, collezionisti e spettatori. Al fine di consolidare un circuito culturale che in Sicilia non riesce ancora a eccellere, nonostante la quantità e la qualità della produzione artistica. «C’è un buon collezionismo in Sicilia e grande potenza creativa – dice Arionte – Tuttavia il contesto culturale e politico non aiuta. È la cultura il primo settore in cui si va a tagliare in momento di crisi». L’intera manifestazione è opera di finanziamenti privati e non è stato chiesto alcun aiuto economico agli enti pubblici. «Stiamo esponendo opere che vanno dal valore di mille fino ai 200mila euro. Accanto agli artisti consolidati abbiamo le giovani promesse di Refreshing». 

Si tratta di Santo Bonaccorso, Mario Cantarella, Carmen Cardillo, Angelo Cigolindo, Georgia De Angelis, Walter Di Santo, Andrea Famà, Salvo Ligama, Iolanda Russo, Samantha Torrisi. L’intera sezione è curata da Daniela Alonge. Sono tutti autori e autrici già protagonisti e protagoniste di svariate mostre collettive e personali, regionali e nazionali, e premiazioni. Tra di loro c’è Andrea Famà: 27enne, ha studiato all’accademia di Belle arti di Catania e ha concluso gli studi a Torino. I suoi calchi vogliono essere «reperti contemporanei. Modi di rendere visibile quanto di vissuto è impresso in ciascun luogo». I suoi soggetti sono le sue abitazioni di Catania e Torino, posti che rappresentano la sua infanzia, le sue botteghe, gli spazi della sua intimità. Andrea denuncia la regressione culturale che sta subendo Catania, il suo ripiegamento su se stessa, laddove invece Torino ha rappresentato per lui una boccata d’ossigeno, un orizzonte culturale e lavorativo più generoso e stimolante.

Mario Cantarella (nata ad Acireale nel 1985) lega la sua opera – Like Candy – alla provocazione-denuncia: la collezione di preservativi – a 24 ore dalla giornata nazionale contro l’Aids – richiama, nella sua varietà di colori, i pigmenti presenti nei farmaci che si oppongono alla degenerazione della malattia. I profilattici, esposti come caramelle, alludono all’insterilimento dei rapporti sessuali, ridotti a un fenomeno pressappoco consumistico che, sebbene abbia vinto il tabù degli anni Cinquanta e Sessanta, viene ancora vissuto incautamente e con leggerezza. «Si tratta di un lavoro a tempio pieno – spiega – e questa installazione mi ha impegnato per quattro cinque mesi. Si tratta di un’opera dal valore stimato di cinquemila euro».

Iolanda Russo, catanese di 27 anni, manifesta in una cabina di legno la sua percezione del costume contemporaneo: L’apparenza che inganna è la condizione comune a tutte le giovani generazioni, la ricerca di rifugi illusori, materiali o virtuali che siano, che si rivelano infine infidi. Una lampadina, posta all’interno dell’opera, ne rischiara il contenuto di spine e rappresenta ulteriore inganno e speranza al tempo stesso. La scultura di Santo Bonaccorso è un coniglio, con le sembianze dell’artista Maurizio Cattelan, che sbuca da un cappello. L’artista spiega trattarsi di «un’allegoria del sistema politico-sociale che oggi governa il nostro Paese». Un mondo, quello governativo come quello artistico, in mano a «prestigiatori dipendenti dalle manovre di mercato, mentre ai cittadini-spettatori non resta che farsi manovrare come dei burattini».

A Salvo Ligama (Catania, 1986) tocca una riflessione generale sulla natura di questa sezione. Diplomato in Grafica all’accademia di Catania, è oggi assistente della cattedra di Incisione. «Sono finiti gli anni Novanta, l’epoca dell’arte a tutti i costi: se devo individuare un filo conduttore che lega le opere di questa sezione, direi che questo è l’uomo. C’è molta riflessione attorno all’uomo, molti riferimenti alla contemporaneità. C’è sempre il rischio dell’effetto fiera, ovvero tanto chiasso e poca qualità. Invece oggi lo scherzo non dura, e l’inganno viene scoperto». Il suo quadro fa parte di un trittico su Marcel Proust e sulla relatività della percezione umana. Un tentativo di «unire antico e digitale, di contemporaneizzare la pittura. È un’arte scomposta, da ricomporre – letteralmente – attraverso la fotocamera dello smartphone». La relatività altro non è, in quest’opera, che dipendenza dalla tecnologia smart, unico strumento per vivere o subire il mondo odierno.

Livio Cavaleri

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