«La seduta è malamente conclusa». Alla fine il parlamento regionale ha approvato la mozione che chiedeva la revoca dell’incarico di Tuccio D’Urso come soggetto attuatore dell’emergenza Covid in Sicilia. Una votazione a cui si è arrivati dopo non poche scaramucce, con tensioni ancora una volta tra il governo, rappresentato in aula da diversi assessori, ma non dal presidente della Regione Nello Musumeci. D’Urso, ex dipendente regionale, scelto proprio da Musumeci per guidare sul campo il reparto tecnico di gestione dell’emergenza sanitaria, è finito sulla graticola per una serie di post su Facebook in cui si scagliava contro membri dell’assemblea, tra cui lo stesso Micciché, rei a suo dire di comportamenti ostruzionisti. Da qui la mozione del capogruppo forzista Tommaso Calderone, poi condivisa da Partito democratico e Movimento 5 Stelle.
Dopo il polverone, nel giorno del voto a suo carico, D’Urso ha inviato al presidente dell’Ars una lettera di scuse, letta in aula da Miccichè. Scuse considerate tardive da parte del deputato del Partito democratico Antonello Cracolici, altro nome citato nei post sotto accusa, e accettate di contro da Tommaso Calderone. Come previsto, tuttavia, il dibattito si è subito concentrato sull’aspetto politico della vicenda, con i partiti più vicini al presidente della Regione che hanno tentato fino all’ultimo di evitare la rimozione di D’Urso, pur condannando il suo comportamento.
Ultimo tra loro Giorgio Assenza, deputato di Diventerà bellissima, che ha chiesto che la mozione di rimozione venisse convertita in una mozione di censura. Parole che suscitano la reazione di Gianfranco Miccichè, che ha lamentato la mancanza in aula del presidente Musumeci: «Il presidente della Regione non ha obblighi giuridici – dice, ricordando che la discussione verte su un uomo di fiducia del governatore – ma dal punto di vista politico è un’altra cosa. Se ci fosse stata una presa di posizione con un palese ravvedimento da parte del presidente sarebbe stato diverso. Questo è un parlamento e fa politica, se avessimo avuto intenzione di fare attività giudiziaria l’avremmo fatto denunciando D’Urso ai tempi. Per quanto mi riguarda possiamo anche non votare, ma non possiamo fare finta che non sia successo niente. Ci troviamo senza dubbio in una situazione di grande difficoltà».
Il clima si surriscalda con l’intervento del capogruppo dei musumeciani, Alessandro Aricò, che ha ingaggiato una diatriba verbale con lo stesso Miccichè, che da par suo non pare intenzionato a perdonare l’ex dirigente: «Se qualcuno avesse offeso il governo – dice – io sarei intervenuto. Posso garantirlo. Ho consigliato a tutti voi di dire al presidente Musumeci di presentare un minimo di atto per stemperare il clima, non l’avete fatto, che volete?». La risposta, poco dopo, è arrivata da Ruggero Razza, assessore alla Salute, che ha parlato a nome del governo e del presidente.
«Accomunare le dichiarazione che sono state proferite dall’ingegnere D’Urso al lavoro svolto nella struttura sanitaria credo sia un errore – dice Razza – Non voglio difendere chi ha un carattere difficile, perché io stesso riconosco di averne a volte uno impossibile, però da un lato ci sono espressioni giudicate correttamente lesive dell’istituzione e della fiducia che il presidente ha riposto nell’Ingegnere D’Urso, ma dall’altro c’è un lavoro svolto da una Regione che non è tra le ultime in Italia nell’affrontare la pandemia, ma la prima. La condotta e le azioni dovranno essere censurate e saranno censurate, ma la valutazione del merito di ogni provvedimento dovrà tenere conto di alcuni principi di continuità amministrativa durante l’emergenza sanitaria». Un appello rimasto inascoltato, con l’atto di indirizzo di rimozione finito sul tavolo di Musumeci e l’ennesima certificazione, qualora ce ne fosse bisogno, che la maggioranza e più in generale il centro destra, è in frantumi. O quanto meno ha equilibri diversi da quelli disegnati dal voto di quattro anni e mezzo fa.
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