«Si scanta perché si aspetta a inizio anno delle nuove uscite sul papà della situazione Montante. Gira questa voce, quindi può essere che Salvatore sa qualcosa più di noi». Sei mesi dopo il suo arresto, il fantasma di Calogero Montante rischiava di fare saltare i piani criminali Fabio Damiani e di Salvatore Manganaro. O meglio questa è la lettura che, a novembre 2018, l’ex responsabile della Centrale unica di committenza della Regione Siciliana e il suo faccendiere – entrambi finiti in carcere ieri nell’ambito dell’inchiesta Sorella Sanità – danno dell’improvviso disinteresse manifestato dall’imprenditore nisseno Salvatore Navarra nei confronti di quella che era stata ribattezzata «la gara delle gare». Ovvero l’appalto per i servizi di pulizia nelle strutture sanitarie regionali. Un affare dal valore complessivo di oltre 227 milioni di euro.
Dei dieci lotti a disposizione, Navarra – che da ieri si trova ai domiciliari – ambiva ad accaparrarsene almeno tre. Per riuscirci, secondo la procura di Palermo, avrebbe fatto leva sui buoni rapporti con Damiani e Manganaro. Pronti, in cambio di un’adeguata remunerazione, a premiare l’offerta della società di Navarra – la Pfe spa – e fornire informazioni sulle proposte fatte dagli altri partecipanti. Tra i desideri espressi dall’imprenditore nativo di Chertsey (in Gran Bretagna) anche la cortesia di aggiudicare qualcosa a un’azienda del Nord interessata a entrare nel mondo degli appalti siciliano, in cambio di un’espansione della Pfe in Lombardia.
Tutto però si interrompe il 7 novembre, quando accade quello che Manganaro definisce «il colpo di scena». «Salvatore mi manda Luca (un dipendente della Pfe, ndr) che mi dice: “Salvo dice: ‘Non darmi niente’”. Non ha voluto i progetti», racconta il faccendiere a Damiani. Una richiesta che per i due non si spiegherebbe se non con due cose: o Navarra confidava nel riuscire a vincere soltanto con l’appoggio di un altro membro della commissione di gara (l’ingegnere Giuseppe Di Martino, anche lui indagato) oppure con il timore di esporsi troppo. Ed è su questa seconda ipotesi che viene tirato fuori il nome di Montante.
Il motivo è presto detto: Salvatore Navarra, 47 anni, è figlio di Totò Navarra, self-made man anglo-nisseno le cui vicende sono finite anche in un libro dal titolo My name is Totò. L’imprenditore che della Pfe ha avviato le fortune è tra gli indagati del secondo filone dell’inchiesta su Montante. Quella riguardante il finanziamento illecito ai partiti, tra cui la campagna elettorale che portò alla vittoria di Rosario Crocetta. Un’indagine ancora aperta in cui sono coinvolti altri volti storici di Confindustria in Sicilia. Sarebbe dunque nel fitto intreccio di trame che ruota attorno all’ex numero uno degli antimafiosi siciliani – condannato in primo grado a 14 anni nel filone sulla corruzione – la molla che avrebbe fatto scattare la prudenza in Navarra junior, attuale rappresentante della Pfe.
Alla fine, però, si rivela tutto una parentesi. Poche settimane dopo, infatti, Manganaro comunica a Damiani che Navarra lo ha contatto chiedendogli di vedersi. «Forse ci ha ripensato», commenta Damiani. L’incontro, stando a quanto ricostruito dai finanzieri, avviene a Milano. Ed è in quella sede che Manganaro rende esplicito il prezzo dell’accordo: 750mila euro da spalmare in tre anni, con la possibilità di arrivare a un milione nel caso l’aiuto necessario fosse di particolare incisività.
Di lì a poco Navarra, la cui impresa arriverà prima nella gara, si premurerà di omaggiare Damiani con una cravatta. A fare da tramite, ancora una volta, è Manganaro. Un dono che non smuove particolarmente gli entusiasmi. «Salvatore, è uno che fa tanti regali, come la penna, la cravatta, le cose. Però, lo sapimmu che è un po’ tirchieddu…».
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